Hans Jonas: Dio è un matematico?

Quando Dio calcola e pensa, nasce il mondo” e ancora: “Tutta la natura e l’incantevole cielo sono simbolizzati nella scienza della geometria” diceva Keplero nel Tertium Interveniens. Anche Galileo la pensava così; infatti, le sue ricerche andavano nella stessa direzione. Hans Jonas, parlando di Keplero, dice che “era pervaso da una profonda fede pitagorica in una essenza matematica delle cose e dell’armonia del mondo da ciò derivante” (97). Keplero e poi Galileo ritengono che la quantità (grandezza) è l’essenziale e l’aspetto veramente conoscibile della realtà. Conoscere = misurare e confrontare misurazioni. Ma, misurazioni di cosa? La natura matematica cui mira il sapere, si chiede il filosofo …, è ancora uguale a quella classica? La matematica è rimasta la stessa? Diciamo subito che l’apparente geometrizzazione platonico-pitagorica della scienza moderna maschera un nuovo approccio che si renderà evidente solo nella algebrizzazione della fisica. Non tanto la geometria classica quanto, piuttosto, l’algebra applicata alla geometria divenne la matematica della scienza della natura che stava per nascere; il che significa che non ci si rivolge più alle grandezze evidenti della speculazione della ontologia greca. Insomma, il concetto classico e quello moderno di natura matematica sono diversi. È stato l’originario interesse per il movimento, opposto allo studio limitato della figura a rendere possibile l’ascesa del metodo algebrico nella fisica, con la susseguente riduzione dello spazio al tempo, e non a caso la categoria della temporalità, rispetto alla spazialità, prenderà il sopravvento nella scienza moderna.  Il movimento, quindi, diviene l’oggetto principale della misurazione al posto delle proporzioni spaziali fisse. Hans Jonas, afferma che “agli albori della scienza moderna l’analisi del divenire sostituisce l’osservazione dell’essere” (98), da qui all’introduzione della geometria analitica il passo è breve. Platone e Pitagora da una parte; Keplero me Galilei, dall’altra, parlano di matèmata, ma tutto è cambiato; non si intendono più. Il moto, però, inteso come stato delle cose, ovvero come condizione al posto della quiete; e ciò lo si capisce chiaramente dal ruolo che la variabile indipendente “t” svolge nel calcolo e nella misurazione degli eventi, che ora sono proprio e appunto accadimenti. Le forme che ora vengono studiate non sono più quelli delle cose così some sono, ma quelle dei continui processi della natura. E il processo in quanto tale è definito unicamente dalle sue forme proprie, ossia dalla legge della sequenza e in nessun modo dal compimento o fine o scopo, il telos, la causa finale di cui parlava Aristotele.

 

Confronto con i greci

Mentre la geometria greca aveva osservato i rapporti tra le figure e i corpi, immutabili ed evidenti, la nuova algebra - nella geometria analitica e nel calcolo differenziale ed integrale – rende possibile rappresentare la forma geometrica stessa come in funzione di variabili, cioè come una sequenza, come una fase della sua crescita costante e, quindi, di formulare le leggi della sua produzione. Queste leggi poi diventano i veri oggetti della conoscenza matematica, al posto delle figure immutabili della concezione greca: il divenire prende il posto dell’essere nella speculazione dell’uomo moderno. Insomma, un’altra matematica descrive un’altra natura. Il che sta a significare che in matematica viene introdotta l’osservazione funzionale in fisica, (con il rispettivo concetto di funzione, inteso come operazione di collegamento tra gli elementi di un insieme e quelli di un altro: l’equivalente matematico della legge fisica) al posto di quella statica. Le forme sostanziali della fisica aristotelica si risolvono nei movimenti e nelle forze elementari di cui esse stesse vengono pensate nient’altro che come il prodotto. Dalla produzione funzionale di una curva matematica, fa notare Jonas (…), risulta in fisica la produzione meccanica delle traiettorie di un corpo. Il prodotto osservato, la forma della traiettoria, non esiste affatto; non è una entità completa, infatti, presente simultaneamente, ma una sequenza, cioè una serie di attimi, ognuno dei quali viene determinato sempre di nuovo dalle somme dei fattori parziali esattamente di quell’attimo osservato. La forma non ha più nessuna realtà indipendente; tutti i tratti razionali, che una tale serie, per es. la traiettoria ellissoidale di un pianeta, non derivano più da una ragione o da una volontà di armonia nel principio natura, ma dalla semplice uniformità dei fattori elementari che vi prendono parte. Questi, nel caso del moto del pianeta, forza di gravità e inerzia, produrrebbero solo un moto rettilineo presi per sé cioè il più elementare, semplice e meno formato di tutti i movimenti. Il che significa che la razionalità di un ordine non è più il fondamento della sua spiegazione; la forma intellegibile non rappresenta più la perfezione dell’essere. “Gli elementi semplici, dal loro ingresso nell’ordine articolato, sono ben lungi dal venire modificati o trasformati, – sottolinea Hans Jonas – ma è piuttosto l’ordine che esiste grazie al loro persistere nella loro quantità ottusa e inarticolata” (…). Ed è quest’ultimo che è veramente reale: le singole parti, attimo per attimo e non l’intero. Ora è la totalità a diventare apparenza, priva di validità ontologica ed epistemologica. Un vero ribaltamento se pensiamo al cosmo greco. Quella che era l’armonia pitagorica si è tramutata nell’equilibrio di forze indifferenti, calcolabile solo in base alle condizioni del loro coincidere. Il rapporto tra superiore ed inferiore, fa notare argutamente Jonas; tra più e meno razionale; tra più e meno forma; viene sostituito dal rapporto composto/semplice: il vecchio ordine intellegibile viene ribaltato. Ora, il tutto viene spiegato in base alle parti; si tenga presente la regola dell’analisi del discorso sul metodo cartesiano che punta a ridurre alla semplicità dell’evidenza la complessità data. Dunque, intellegibilità sta a significare riducibilità a ciò che, in quanto elementare, è nell’accezione antica il meno intellegibile di tutto, poiché dimostra nel proprio compimento, il minor grado di intelletto; è cioè del tutto cieco. Per l’dea moderna della comprensione della natura il meno intelligente diviene il più intelligente, il più privo di ragione il più razionale. Cosa si nasconde dietro ogni razionalità dell’ordine naturale? Nient’altro che il mero dato di fatto delle costanti quantitative nel comportamento della materia, oppure il Principio di uniformità in quanto tale, vedi la 1° legge di inerzia che tutto è tranne che ragione immanente.

 

Dottrina della plasmazione classica e dottrina della creazione giudeo-cristiana.

Va da sé che il senso diverso in cui si può parlare di una natura “matematica” deve anche influenzare l’idea di un creatore matematico. Quello che bisogna tener presente è che una dottrina metafisica non è l’effetto bensì la causa di un determinato sviluppo scientifico, ovvero, non è la metafisica a discendere dalla fisica, viceversa è la fisica a dipendere dalla Metafisica. Questo è quanto, sulla scorta degli studi jonasiani vogliamo dimostrare. La soppressione della teologia e delle cause finali, nonostante il mirabile tentativo di Leibniz di ripristinare un certo equilibrio tra fisica e metafisica, nell’ambito della “filosofia della natura” non può essere ascritto semplicemente a una qualche determinata scoperta o a diverse, compiute nell’ambito di un nuovo metodo; essa presuppone una nuova metafisica implicita. Ma la rivoluzione del metodo richiede, a sua volta, una spiegazione più a monte. Sono necessarie determinate condizioni metafisiche per rendere possibile un nuovo acceso alla natura da parte della scienza post-rinascimentale.

Confrontiamo allora la dottrina Del Demiurgo esposta da Platone nel Timeo con la concezione giudeo-cristiana della creatio ex nihilo.  Rimanendo al paragone precedente, qui l’intellegibile e l’intelligente sono di fatto identici. Infatti, il demiurgo plasma la chora informe sul modello delle idee.