Prima lezione di Filosofia
Come possiamo definire il corso di filosofia di quest'anno? Un viaggio nella follia dell'Occidente! Ecco, penso che questa sia la definizione più calzante. È una follia iniziata non con il moderno in quanto moderno dal punto di vista cronologico, ma con il moderno inteso in maniera assiologica, ovvero con il comprendere il moderno in quanto “epoca del non è più possibile pensare in termini di trascendenza verticale”. Se la nascita di questa follia la possiamo individuare in Cartesio, dobbiamo anche dire che Cartesio è un Giano bifronte da cui partono due semirette, una verso la follia l'altra no. La prima è quella che però sembrare, e dico sembra, aver prevalso. Cartesio è però solo un punto indicativo, il centro di una nebulosa. È con Kant che la follia della modernità si presenta in maniera chiara e facilmente comprensibile.
Il viaggio nella follia della modernità non è determinato dalla fede dell'Occidente per cui gli enti vengono dal nulla e al nulla ritornano; essa è, invece, determinata dalla riduzione dell'essere degli enti alla rappresentazione che il soggetto ne fa, prima il Soggetto trascendentale e poi l'io di fatto, inteso in maniera emotivistica. In questa riduzione-rovesciamento dell'essere degli enti al soggetto che li pensa sta il cambiamento e del pensare, che diventa fare e del mondo, che diventa niente, cioè non-ente. Ma, certo, tutto questo va argomentato ed è quello che si tenterà di fare quest'anno. Argomentare significa problematizzare, ovvero aprire lo spazio della domanda.
Ritengo perciò che sia fondamentale iniziare questo ultimo anno con un verso del Prometeo incatenato di Eschilo. Ciò per due motivi: 1) perché è solo misurandoci coi greci che si può comprendere la specificità del moderno in quanto tale e 2) perché la Filosofia, seppure in maniera capovolta, non è mai uscita dall'orizzonte tracciato dai greci.
Il verso in questione è: τέχνη δ' ἀνάγκης ἀσθενεστέρα μακρῶι che traslitterato è: “techne dʼ anάnkes asthenestera makroi” e cioè: “la tecnica è più debole della necessità”. Questa affermazione, profondamente filosofica, messa in bocca a Prometeo da Eschilo ci permette di determinare l'orizzonte filosofico dai greci fino ad oggi. Ai greci ritornano, in maniera diretta o indiretta, quasi tutti i filosofi della modernità. Ma grecità è un concetto che va allargato; grecità significa pensiero classico e il pensiero classico intende gli enti come trascendenti, la coscienza che li pensa. e pensiero medievale. Ma questa affermazione oggi è pensata in maniera inversa dalla modernità, essa afferma: “la necessità è più debole della tecnica”. Qui sta tutta la follia dell'Occidente. Ma come si è giunti a ciò?
Facciamo un passo indietro, un passo al mito. Κρόνος, segno evidente del divenire, che riconduce le cose (τά ὄντα) al nulla nell'evidente danza del divenire, viene sconfitto da Zeus, il divino, ciò che è e che non diviene perché immortale (attenti a come i greci definiscono il divino, come ciò che non ha morte – su questo punto ci ritorneremo), segno dell'episteme (ἐπιστήμη) che non sottostà al divenire, ma lo governa per mezzo di Necessità (ἀνάγκη) secondo Dike (Δίκη), come emerge dal Premi del poema parmenideo. Nel mito si celebra già la vittoria dell'episteme sul divenire che, pur evidente, viene imbrigliato nelle maglie della necessità. Ora, nella modernità, è Kronos che vince su Zeus; è la categoria del tempo, segno evidente del divenire, a dominare ogni cosa. La modernità ha fede nella tecnica, ne ha fatto quello che Severino chiama il “Sommo riparo” contro l'angoscia del divenire. Ma la tecnica, non essendo ἀνάγκη, impedisce che la scienza moderna possa chiamarsi scienza, secondo il significato greco-latino del termine, sapere incontrovertibile appunto; essa non è più episteme. Ciò che gli antichi, ovvero i greci e i latini e i medievali, intendevano con il termine episteme – scientia ha un significato completamente diverso dal termine moderno scienza.
Se, infatti, si accetta la lezione che in saphos (σάφος) “sapiente” (su cui si costruisce il termine astratto sophia /σοφία), risuona come nell'aggettivo saphés (σαφές) (“chiaro”, “manifesto”, “evidente”, “vero”) il suono di phaos (φάος), la “luce”, allora “filosofia” significa “amore, aver cura per ciò che, stando nella “luce” (al di fuori cioè dell'oscurità in cui stanno invece le cose nascoste – e Alétheia (Ἀλήθεια), “verità” significa propriamente, alla lettera, “il non-essere nascosto”) non può essere in alcun modo negato. “Filosofia” significa “amore per la verità”, dunque: l'assolutamente innegabile.
Tra filosofia, verità ed episteme (Φιλοσοφία - Ἀλήθεια - ἐπιστήμη) c'è+ un legame inscindibile; tutt'e tre i termini rimandano alla evidenza incontrovertibile e tutt'e tre hanno a che fare con Theoria (Θεορία) cioè con il vedere contemplante. Ma theoria, a sua volta, rimanda alla festa, alla tragedia, al Théatron (Θέατρον) in cui si fa evidente Dike (Δίκη), la legge incontrovertibile del divenire della Physis (φύσις) che accade ne'orizzonte dell'essere, secondo la lezione di Aristotele. Questo divenire non riguarda – come sottolinea Aristotele nella Theologia, il Theos (Θεός). Già da adesso viene implicitamente anticipata la differenza ontologica tra l'Essere che, in quanto Theos, è Atto Puro e gli enti che, nel linguaggio della scolastica medievale sono detti ognuno “ens creatum”. Divenire che riguarda non l'Essere ma gli enti che hanno ricevuto l'Essere per partecipazione.
È, dal punto di vista filosofico, un errore tradurre il greco ἐπιστήμη con il volgare scienza, science, etc, quando a questa parola si dà il significato di sapere incontrovertibile. Avendo perso la fede nell'episteme, ci chiediamo: qual è la fede dell'Occidente oggi? E quindi del mondo, poiché il mondo oggi è occidentalizzato nel suo apparato tecnico e teoretico. Rifacendoci al verso di Eschilo oggi possiamo ribadire ancora una volta, per meglio chiarircelo: “La necessità è più debole della tecnica”, questo credo oggi l'uomo della civiltà della tecnica. Questa è la nuova fede dell'Occidente e, attraverso l'Occidente, del mondo. In questo rovesciamento di senso sta anche il nuovo senso del pensare che non è più Theorein (Θεορέιν) ma praxis (πράξις) fare, produrre, (ποιέιν). Tutto ciò ci spinge anche ad un ripensamento critico del pensiero dei moderni, in primis Bacone. Se, infatti, l'anno scorso questi autori sono stati studiati da un punto di vista storico – filosofico, quest'anno per es. sulla scorta di H. Jonas, verranno studiati nelle loro implicazioni filosofiche per la contemporaneità, cioè nella loro attualità. Apparentemente potrà sembrare che i diversi autori di quest'anno abbiano diverse problematiche e diverse costellazioni di riferimento ma, in realtà, la base da cui partono è comune. Il nostro compito sarà rendere evidente questa base comune. Ciò ci porterà anche a discutere di A.I. E dei computer che apprendono, per es. Watson, della robotica, della IV rivoluzione Industriale che già è stata pensata a tavolino e della Leadership orizzontale che la fonda come processo.
Se gli antichi ponevano l’episteme quale rimedio contro l'angoscia del divenire e i medievali Dio, i moderni non pongono più nemmeno il Dio cristiano, ma la tecnica. In che modo la tecnica assolve questo compito? Nella sua capacità di preveggenza e di poiesi del reale, essa permette all'uomo di esorcizzare l'angoscia del divenire. Altra cosa è la tecnica nell'orizzonte dei classici. Questo aspetto, riletto a partire dalla questione antropologica, ci porterà a ridiscutere il problema del male. Questo problema ci riporta alla questione della morte; diverse sono le posizioni dei filosofi intorno a questo tema, per esempio Heidegger parla della morte come impossibilità di ogni possibilità e della morte come essere dell'esserCi, come essere dell'esistenza; Anassimandro e sulla sua scorta, Nietzsche, Hegel, come di un fatto naturale. Il pensiero biblico ne parla come conseguenza del peccato.
Socrate e Nietzsche
La risposta al nichilismo è innanzitutto Socrate, quel Socrate più volte biasimato e ridicolizzato da Nietzsche è l'antidoto a Nietzsche. Il metodo socratico, la ricerca della verità, è lo strumento per superare definitivamente il nichilismo; questo va affrontato sul suo stesso terreno. La grandezza di Socrate sta appunto nell'aver scoperto che persino il negativo, il nichilismo, deve fondarsi su di un principio, l’Arché, un fondamento, quando afferma che l'essere è nulla. Questo principio, in quanto principio, è affermazione. L'affermazione, in quanto ad-firma, rimanda all'essere. Se non esistesse l'essere, non sarebbe possibile nemmeno affermare. Nietzsche cade spesso in questa contraddizione, nessuna affermazione nietzschiana avrebbe senso se non si fondasse implicitamente sul principio che l'essere è e non può non essere. Ora, perché il nichilismo ha preso tanto piede nel nostro tempo? Qualche anno fa nemmeno veniva insegnato, qualcuno lo ha giustamente definito un “bubbone filosofico”. Dopo la crisi delle ideologie, il giacobinismo si è attaccato al nichilismo perché nel pensiero di Marx stesso è insisto il germe del relativismo e del nichilismo. Caduto Marx si è attaccato a Nietzsche. In verità, ciò è accaduto perché l'uomo moderno ha deciso di essere dio, ma o Dio è Dio o l'io si crede dio. Del resto, anche la lettura che Nietzsche fa della grecità è parziale de ed errata.
Nel famoso aforisma 340 de La Gaia Scienza, infatti, intitolato Socrate morente, Nietzsche sintetizza quanto già aveva espresso sia ne La Nascita della tragedia e sia ne La Filosofia nell'età tragica dei greci; qui, in maniera …. ironica, il filosofo tedesco riporta la frase finale detta da Socrate e riportata nel Fedone platonico: “Critone, sono in debito di una gallo ad Asclepio”. A partire da questa affermazione Nietzsche ribalta completamente la filosofia socratica, che sta alla base del pensiero di Platone, che quest'ultimo, sempre nel Fedone definirà la “Seconda navigazione”, il vero Manifesto della Metafisica occidentale. L'attacco di Nietzsche a Socrate si basa proprio su questo rifiuto della trascendenza che Socrate inizia per primo nel pensiero non solo occidentale, ma oserei dire dell'umanità. L'aver identificato la vita con l'a-razionale dimostra che il vero nemico mdi Nietzsche è Kant e il razionalismo moderno di cui, erroneamente, crede che Socrate sia il fondatore. Non è Nietzsche discepolo, sia pur ribelle, di Schopenhauer? E non è Schopenhauer legato a doppie maglie con il pensiero kantiano, poiché Kant è il vero iniziatore del nichilismo moderno con la sua “Rivoluzione copernicana”. Nietzsche, senza rendersene conto, si muove ancora all'interno del paradigma illuminista, ne condivide tutte le conclusioni, anche se poi le rovescia. A sentire Nietzsche, sembrerebbe che la vita sia la negazione del pensiero, ma a quale forma di pensiero si riferisce? Nemmeno lui lo sa, non l'ha tematizzato e non ha mai scoperto che, senza saperlo, è proprio all'interno del razionalismo moderno che avviene tutto il movimento del suo pensiero. L'antropologia implicita nel pensiero nietzschiano è l'esaltazione delle bestialità già sostenuta da una pseudo-filosofia becera e superata. Una costante decadente, di crisi da assuefazione all'illuminismo, fa da sfondo al pensiero del filosofo di Röcken: la convinzione, appunto, che la vita sia a-logica, o illogica, ma quale modello di logos ha in mente Nietzsche quando parla? Quello del razionalismo moderno. Nietzsche non si rende conto, né è in grado di farlo, che quando parla identifica la ragione con il modello illuminista di ragione; il suo rifiuto della ragione è il rifiuto del modello illuminista della ragione che ha caratterizzato l'intera parabola della modernità da Galileo fino a Kant e all'Idealismo. Per razionalismo non va qui intesa quella corrente filosofica della modernità che, in ambito gnoseologico, riduce la ragione a calcolo svalutando l'esperienza; per razionalismo bisogna intendere l'essenza stessa di un percorso, diventato poi dominante, il rifiuto cioè, senza dimostrazione, in ambito antropologico dello status naturae lapsae, ovvero della dimensione di peccato e di morte dell'uomo e, in abito ontologico, del rifiuto della platonica seconda navigazione. Nietzsche diventa interessante perché in lui questa crisi raggiunge il culmine. Egli crede, in maniera ingenua e poco storica in verità, che soltanto un ritorno al paganesimo pre–cristiano possa salvare l'Occidente dalla sua crisi. La modernità, cortocircuitata su posizioni neomarxiste e neoilluministe, si caratterizza definitivamente come negazione della trascendenza e, dunque, filosoficamente, come negazione della “Deuteros plous” platonico – aristotelica. L'attacco sofistico – nichilista post – litteram di Nietzsche a Socrate va inserito allora in un cortocircuito dal quale solo un ritorno a Socrate può portarci fuori. L'importanza di Socrate sta tutta nella affermazione della imprescindibilità del Logos e, in ambito etico, che questi non è altro dalla vita, ma il modo in cui la vita si dà in quanto vita umana. Il recupero della centralità del logos per la vita umana rimanda ad un'altra importante costatazione, essenzialmente anti sofista, e cioè che l'ente non è frutto dell’attività del logos umano antropocentrico. È necessaria quindi una vera e propria contro-rivoluzione copernicana in ambito filosofico, anzi essa è la premessa di un ritorno al logos non più in chiave egocentrica.
La conseguenza, nella modernità, di questa aseità dell'uomo e la conseguente cancellazione della sua creaturalità, è stata l'emancipazione da Dio e la cancellazione di Dio dal pensiero filosofico della modernità post-kantiana. Perché è vero che l'Idealismo parla di Dio, ma ne parla in termini di riduzione di Dio alla ragione umana, è già la premessa del nascente ateismo positivo compiuto e di quello tragico nietzschiano. Una filosofia senza teologia non è filosofia, ma pura e semplice ybris, follia allo stato puro. Ed è tale perché pensa l'uomo senza tener conto di ciò che l'uomo veramente è; questa è la follia della modernità: pensarsi e vivere etsi Deus non daretur. Da questa menzogna originaria discendono tutte le falsità della filosofia moderna, se è vero che moderno è ciò che si pensa a prescindere da Dio. All'interno di questo paradigma imperante, (ma esistono altri percorsi della modernità, perciò la modernità è essa stessa problematica) la modernità pensa se stessa come unicum, come luogo della emancipazione dell'uomo da ogni forma di legame con altro, con la trascendenza, con ogni forma di dipendenza. Ma come afferma giustamente MacIntyre l'uomo potrebbe tranquillamente essere definito “animale razionale dipendente”, la dipendenza è nella struttura ontologica dell'essere umano. In questo pensiero si nasconde già l'origine della decadenza della civiltà moderna e del suo nascente nichilismo e relativismo. In realtà, qui sta l'attualità di Socrate, nel riconsegnare l'uomo alla sua dimensione profonda di interrogante.
Sta dunque nel recupero del pensiero e della figura di Socrate la via per superare il nichilismo. Lo scontro epocale è Socrate contro Nietzsche, poiché il primo rappresenta l'inizio del pensiero occidentale, sicuramente in termini di antropologia filosofica; il secondo, il tentativo di distruggere l'Occidente identificato erroneamente da Nietzsche stesso con la crisi interna al movimento illuminista; ma il ritorno a Socrate non è affatto il ritorno al pensiero illuminista, come ritiene per esempio la De Monticelli nel suo Al di qua del bene e del male quanto invece il ritorno alle origini del pensiero della trascendenza, perché proprio qui sta il discrimine tra Socrate e l'illuminismo: Trascendenza contro immanenza.
Nietzsche e Kant sono facce della stessa medaglia; sono aspetti di quell’unico razionalismo immanente che pretende di essere la modernità in quanto modernità. Ciò che caratterizza il moderno no né affatto la categoria della libertà, ma è quella della immanenza, ovvero del rifiuto più netto che possa esserci della “Seconda navigazione” platonica. Ritornare a Socrate significa riaffermare che l'uomo è la sua anima, concetto questo di estrema importanza che lega indissolubilmente il pensiero classico da Socrate a Platone e Aristotele fino ad Agostino e Tommaso.
Altro aspetto della modernità è la questione del metodo, ma il metodo non è neutro, implica sempre un radicale cambiamento di tipo metafisico, com'è avvenuto per Cartesio all'alba dell'età moderna, anche se il processo giunge a compimento solo con Kant. Chi, dunque, crede di poter conservare la natura del messaggio cambiando il metodo con cui vuole comunicare il messaggio è un ingenuo. Ed è un ingenuo perché non tiene conto dell'avvenuto cambiamento tra pensiero classico, o pensiero della trascendenza, e pensiero moderno o pensiero dell'immanenza. Certo, anche nel mondo antico si sono avuti tentativi di ridurre la trascendenza all'immanenza, per es. gli epicurei, gli stoici e gli scettici, ma lì il discorso era leggermente diverso, essendo quello un fenomeno pre-cristiano e, nelle sue ultime fasi, coevo ad esso. Qui, invece, si tratta di un fenomeno post-cristiano.
Se il problema fosse solo quello del metodo, si tratterebbe di far vedere come il metodo classico sia inconciliabile con il metodo della modernità, anche quando pretende di essere più vicino agli antichi di quanto non sia in realtà il pensiero trascendente.
Perché Socrate annuncia la nascita del pensiero trascendente? In negativo, se Nietzsche, profeta del nichilismo, ha visto in Socrate un nemico tanto pericoloso questo è indicativo del fatto che proprio il pensiero che da Socrate, attraverso Platone giunge fino ad Aristotele, è la negazione ante – litteram del nichilismo nietzschiano. In positivo, nel pensiero di Socrate sono presenti degli elementi che si contrappongono fortemente al relativismo e al nichilismo dei sofisti, nichilismo ante – litteram del nichilismo moderno. Per esempio, l'affermazione che l'uomo è la sua anima, esposta brillantemente da Platone nell'Alcibiade I, che la sofistica non porta da nessuna parte, che aretè è la cura dell'anima e che tutte le virtù si riducono a questa. Socrate ha già atterrato Nietzsche, gettandolo come un topo nel braciere, prima ancora che questi vagisse.
L'asse Socrate – Platone – Aristotele non a caso è stato potentemente attaccato, in un processo a ritroso, nella e dalla modernità. Prima Aristotele: fisica e metafisica; poi Platone: protologia ed antropologia; infine, Socrate con l'ultimo furioso attacco di Nietzsche, circa l'anima e la virtù. Questa è la trama profonda del processo verso il nichilismo del razionalismo moderno, razionalismo inteso, come si è già detto sopra, come negazione senza prova della trascendenza verticale. Dunque, la libertà non è il tratto caratteristico della modernità ma il pensiero immanente. È proprio a partire dalla acquisizione in filosofia della naturalità dell'essere mortale, non concependolo più come conseguenza del peccato, che la modernità pensa se stessa. Difatti, il pensiero utopico è la conseguenza necessaria prima, della negazione della trascendenza e dell'attesa escatologica. Se, infatti, il cielo è cancellato l'attesa si rivolge tutta ad un futuro intramondano pienamente nelle mani dell'uomo. La città del sole di Campanella e La Nuova Atlantide di Francesco Bacone sono l'esempio lampante di questo rivolgimento intrastorico. E non è la libertà lo ripeteremo fino alla noia, il tratto caratteristico della modernità, perché la libertà è stata introdotta, come ontologico dell'essere dell'uomo, dal Cristianesimo a partire dalla liberazione dal peccato storicamente verificatasi con la redenzione operata da Gesù Cristo.
L'analisi del frammento 135 de La Gaia Scienza di Nietzsche, intitolato Origine del peccato, ci permetterà di capire ancora meglio quali sono i termini della questione. In questo frammento il filosofo di Röcken definisce il peccato come “sentimento ebraico e un'invenzione ebraica”, e afferma che, a partire da ciò, si può intendere il Cristianesimo come l'ebraizzazione del mondo. Ma non è questo il nocciolo della questione; il vero cuore del problema sta nella negazione del peccato o, meglio, nella volontà, dunque nella libera scelta, di eliminare proprio il senso del peccato. Nietzsche mette a confronto, commettendo anche un errore di analisi, la società greca nella quale, secondo lui, non esisteva il senso del peccato. A sostegno della sua convinzione erronea, cita il furto di Prometeo e la strage di bestiame di Aiace. Ma Nietzsche dimentica (?) o, forse, vuole dimenticare il movimento orfico, cui si collegava il pitagorismo e la filosofia di Socrate? Ma è una semplice omissione questa? Non è forse un restringimento prospettico, dovuto alla guerra che Nietzsche ha intrapreso contro Apollo e Orfeo, contro Socrate stesso? Ma Nietzsche va oltre, collega impunemente a questa esigenza greca, come la definisce, l'origine della tragedia. Un attento studio della tragedia greca dimostra invece che non è affatto così, ma che anzi proprio il conflitto tra logos e istinto determina il sorgere della tragedia, quale luogo in cui si manifesta il conflitto stesso, e denota anche il tormento, tipicamente greco, intorno alla impossibilità per l'uomo da solo di poter risolvere la questione. Un ultimo aspetto ci rimane ancora da trattare e cioè, il confronto tra la concezione biblica del peccato e il detto di Anassimandro. Cominciamo da quest'ultimo punto. Non a caso Nietzsche cita questo frammento nell'opera successiva alla Nascita della Tragedia, ovvero La filosofia nell'età tragica dei greci.