Frammento Apocrifo di Calveno Tauro

*Pubblicato su ArteScienza, anno III, dicembre 2016, N.6, ISSN 2385-1961 

 

1 - Premessa
Un frammento apocrifo, attribuito per lungo tempo a Calveno Tauro, descrive un fatto accaduto a Socrate che, secondo Tauro, Platone avrebbe inserito all’inizio del Simposio. Questo frammento fu già espunto dall’opera platonica nel II secolo, anche perché non se ne avevano notizie né nella sistemazione di Trasillo delle tetralogie platoniche né nella stessa Accademia. Nonostante ciò riporto il frammento, in verità ormai ritenuto apocrifo dalla maggior parte degli studiosi, per il suo specifico interesse e, se così posso esprimermi, per la sua singolarità. Il frammento è il 37 F della raccolta L. Calveno Tauro, Testimonianze e Frammenti e porta la numerazione 174ea in riferimento al testo platonico, precedendo il 174e della versione canonica del Simposio e seguendo di poco il 174d. Sarà bene riassumere, però, per sommi capi, affinché i lettori possano comprendere l’importanza del testo calveniano, il contenuto del Simposio platonico fino al frammento apocrifo in questione, frammento che sarà poi riportato per intero.


2 - Sintesi del passo 172a – 174d del Simposio platonico
Invitato dai compagni a narrare i contenuti del mirabile Simposio che si tenne nel 416 a. C. a casa di Agatone, dopo la sua vittoria alla precedente tragediomachia, Apollodoro conferma di riportare la narrazione che Arisotedemo Citadeo, fedele discepolo di Socrate, ne aveva fatto a Fenice. Nel gruppo dei compagni di viaggio di Apollodoro è presente anche un certo Glaucone, ma la critica, data la scarsezza delle notizie dateci da Platone stesso nell’incipit del dialogo, non è riuscita a stabilire se si trattasse del fratello di Platone, del padre di Carmide o di un altro illustre sconosciuto. Apollodoro racconta, dunque, che questo Aristodemo si era imbattuto in Socrate che veniva dal bagno e che indossava i sandali, cosa alquanto rara dato il costume di Socrate di camminare quasi sempre scalzo e di avergli domandato dove andasse così ben vestito. Socrate, senza mezzi termini, gli rispose che andava a cena da Agatone e che ci andava il giorno dopo la vittoria perché non amava la folla. Aggiunse poi che si era acchittato proprio per l’occasione, proponendogli nel frattempo di seguirlo al banchetto, anche se non invitato. Apollodoro, riportando il racconto stesso di Aristodemo, continua dicendo che i due si erano messi subito in cammino e che, mentre si avviavano a casa di Agatone, Socrate si trovava immerso, come era solito fare, in una sua meditazione.
Ora, mentre la versione canonica e ufficiale prosegue dicendo che Aristodemo, accortosi del meditare di Socrate, si fosse fermato ad attenderlo me che poi, per le stesse esortazioni di Socrate, si fosse avviato per primo a casa del festeggiato e, che avendo trovato la porta di casa già aperta, vi si fosse introdotto; il frammento apocrifo di Calveno Tauro narra di un discorso avvenuto tra Socrate e Aristodemo e aggiunge poi un fatto strano, alquanto incomprensibile, ad esso collegato. Ma ecco il frammento riportato per intero.


3 - Il frammento
174 d. Dopo tale conversazione, raccontava Aristodemo, si misero in cammino. Ma, per via, Socrate procedeva immerso in una sua meditazione e restava indietro; …..
174ea[. Poiché la cosa si ripeteva più volte, Aristodemo, incuriosito dal fatto, si avvicinò cautamente a Socrate allo scopo di conoscere quale fosse il pensiero che lo teneva così assorto.
(Aristodemo) - Dunque, Socrate, cos’è questo pensiero che ti tiene così stretto e avvinto come le spire di una torpedine marina e ti tiene a sé così assorto?»

(Socrate) - Ebbene, mio caro Aristodemo, per gli dèi, è un pensiero che da tempo mi tiene a sé avvinto. È come se io vedessi, in un tempo lontano, ancora da venire, i discepoli di Protagora e di Gorgia tornare a menar vanto, anzi come se un lontano discepolo di Aristofane continuasse a prendersi gioco di me, in una lontana terra barbara, nello sperduto nord.

(Aristodemo) - Può mai essere una cosa simile, Socrate? Che Cherefonte ti abbia giocato un altro dei suoi tiri mancini e sia andato di nuovo ad importunare la Pizia con le sue domande?

(Socrate) - No, amico mio, penso che sia qualcos’altro. È un pensiero che mi ritorna spesso. È come se la battaglia contro la sofistica si dovesse nuovamente combattere, ancora una volta, in un tempo e in un luogo molto lontani dalla nostra amata Atene.

(Aristodemo) - Possibile?

(Socrate) - Ebbene sì. Come figli di cane questi discepoli, di cui ti dicevo, si avventeranno contro di me, contro tutto ciò che ho detto e cercato  finora e che nei prossimi anni mi accingo a fare. È come se, qui ad Atene, si giocassero i destini di Europa, molto più che contro i Persiani. Come se il mondo nascesse nuovamente e per terribile nemesi divina a noi toccasse far entrare il cavallo di Odisseo nelle nostre stesse case.
(Aristodemo) - Socrate, ma tu vaneggi! Come è possibile tutto ciò?.
A quel punto, narra Aristodemo, che Socrate fu come attratto dal rapido guizzo di qualcosa che furtivamente si muoveva nell’ombra della notte. Allungò allora l’occhio e all’improvviso, con fare atletico, che conservava nonostante la sua veneranda età, aveva allora circa cinquantaquattro anni, diede un calcio preciso e deciso a qualcosa che si stava muovendo furtivamente nell’ombra scaraventandolo nel braciere posto lì accanto per illuminare il percorso fino alla casa di Agatone. Si sentì proprio come uno squittio e la cosa prese subito fuoco.

(Aristodemo) - Socrate, perché hai dato un calcio ad un topo scaraventandolo nel braciere?

(Socrate) - Nobile Aristodemo, quello non era un topo ma Nietzsche.

(Aristodemo) - Nike? Che c’entra Nike?»

(Socrate) - Ora non puoi capire, Aristodemo, ma capirai dopo.

Intanto, il topo crepitava squittendo sul fuoco.

(Aristodemo) Mio buon Socrate, ma cosa significa tutto ciò? Davvero non puoi spiegarmelo mentre ci avviamo da Agatone?

(Socrate) Caro, Questo topo che ho gettato nel fuoco pareva essere la reincarnazione di Aristofane o, un suo lontano discendente che sarebbe davvero opportuno che non fosse mai esistito per tutto il male che farà all’Europa. Davvero un giorno sarà chiaro quanto le miei ricerche siano l’opposto di questo NICE, e quanto solo un ritorno alle mie ricerche potrà salvare l’Europa dall’abisso, ma ora su, andiamo a casa di Agatone che ci sta aspettando]...

Qui il frammento di Calveno Tauro si interrompe e riprende, nello stesso brano, la stesura canonica del Simposio proprio nel punto in cui si dice: 174d «e fermatosi l’altro ad attenderlo, gli ordinò di andar pure innanzi».

[Nota del curatore del frammento]

Dobbiamo tener presente che nella lingua greca non esiste il suono dolce “c” ma solo il suono duro “ch”; tenendo presente che in italiano il nome Nietzsche si legge “Nice”, un greco del tempo di Socrate avrebbe detto o letto proprio Nike, ovvero vittoria. Ma di quale vittoria, tirando un topo nel braciere, Socrate avrebbe potuto vantarsi?

Ebbene, se teniamo presente che uno degli obiettivi dichiarati di Nietzsche è stato appunto demolire Socrate, ritenuto l’uccisore della vita proprio per la sua invenzione del concetto, ovvero per aver ucciso la vita introducendo il pensiero sulla vita, sembra del tutto giustificato il gesto di Socrate. A testimonianza di questo fatto vanno tenuti presente i passi de La Nascita della tragedia in cui Nietzsche accusa Socrate di aver ucciso lo spirito tragico, introducendo appunto il concetto e il famoso aforisma 340 de La Gaia Scienza.

L’episodio racconta, dunque, la vendetta ante litteram di Socrate nei confronti di Nietzsche.