Alcune riflessioni intorno agli Appunti su Irreligione Occidentale di Augusto Del Noce*
Capitolo 1 del Saggio: Massmiliano Mirto, Il cristinesimo nell'età della tecnica, Quaderni della Biblioteca e dell'Archivio Arcivescvile di Capua, Capua, 2009.
A guardarsi intorno, in un vedere decisamente filosofico, si potrebbe essere tentati di dire che l’ateismo della società contemporanea sia un esito necessario dello stesso pensiero Occidentale dagli inizi della modernità ad oggi. Inoltre, si potrebbe aggiungere che un tale esito sia non solo auspicabile, ma determinante per una vera emancipazione dell’uomo, per cui l’idea stessa di Dio sarebbe una carcassa di cui liberarsi, un qualcosa di indecente per un uomo che voglia definirsi tale. A tutto ciò si potrebbe aggiungere che è lo sviluppo di una società basata sulla scienza a chiederlo e poiché una tale società ha prodotto il massimo grado di benessere finora raggiunto e distribuito, un tale esito è quanto meno un Destino. Essere cristiani in un mondo in Occidente, e soprattutto in Europa, appare, in base a questo ragionamento qualcosa di obsoleto, (e fin qui ci potrebbe andare anche bene – si fa per dire – a noi cristiani in quanto la natura del cristianesimo parrebbe non essere minimamente intaccata). Ma la lotta del cristianesimo per la sua vita e per il suo Signore, è ben diversa da quella che ha dovuto affrontare nella prima metà del Novecento contro le religioni secolari: comunismo, nazismo e fascismo. Qui, infatti, è la natura stessa del cristianesimo ad essere messa in discussione dall’interno oltre che dall’esterno, e non ci si riferisce alla dialettica interna, dialettica intesa nel significato greco del termine e non in quello hegelo – marxista, della vita cha ha accompagnato la storia stessa della chiesa. Ci si riferisce, invece, a quella sottile opposizione, spesso più pratica che teorica, nei confronti della dottrina e della figura del Papa. Più ancora, il vero rischio che il cristianesimo sta incontrando è quello di un suo profondo snaturamento, di un suo possibile scadimento nel pelagianismo. Ebbene, tutto il ragionamento che è poi quello che con il Leopardi si potrebbe definire il “pensiero dominante”, se è vero che determina in un certo senso il clima culturale del nostro tempo, non ne esprime veramente l’essenza, ma imponendosi influisce sulla visione stessa delle cose. Contro e oltre questo pensiero non – pensiero dominante si pone il nostro discorso che è teso a mostrare l’intima natura del nostro tempo per meglio superarne gli errori e le sue erranze. Cominciamo, dunque, dagli Appunti sulla irreligione occidentale di Augusto Del Noce. Innanzitutto, va osservato che questo è un fenomeno di massa, per irreligione si intende “un atteggiamento agnostico dello spirito”[1], ma di un agnosticismo completamente diverso da quello antico secondo il quale la verità esisteva ma era in conoscibile, poiché data l’equivalenza di tutte le affermazioni e di tutte le negazioni, essa, non potendo essere colta dal pensiero ed espressa dal linguaggio costringeva ad una epochè teoretica che rinunciava a conoscerla. Questa filosofia si sviluppò in età ellenistica, un’epoca di profonde trasformazioni … l’agnosticismo moderno, invece, cancella decisamente l’esistenza della verità negandone l’essere. “Il punto di vista dell’irreligione naturale dice: non si tratta di negare che esistono questioni aperte, non riducibili con gli strumenti ordinari di conoscenza; ma tali questioni sono anche quelle che non interessano”[2], sono cioè prive di efficacia tecnica. L’irreligione occidentale rappresenta l’esito della fusione di un certo razionalismo e dell’empirismo che, a priori, rifiuta ogni quid non verificabile, e cos’ l’affermazione dell’esistenza di dio diviene logicamente priva di senso, perciò inutile. È interessante commentare l’affermazione di Del Noce secondo la quale “l’irreligione naturale indica un livello di empietà maggiore di quello dell’ateismo in ciò che rifiuta la stessa idea di religione, pur essendo rigorosamente ateo, pur negando ogni rivelazione e ogni soprannaturale il marxismo, (come del resto il nazismo ed il fascismo) nella sua versione comunista, è infatti una religione, l’Avvenire sostituendo l’Eterno e la Totalità l’Assoluto e la Città di Dio”[3]. L’irreligione naturale, dunque, a nostro parere, avendo in un certo senso vissuto la mancata realizzazione del comunismo – per sua impossibilità intrinseca - e il mancato oltrepassamento del marxismo, cercando cioè elementi di dialogo con esso, si oppone a qualunque forma di religione, ritenendo obsoleto un tale atteggiamento presente ancora nel marxismo stesso. Tra l’altro, mentre il pensiero libertino del ‘600 era un fenomeno elitario, e per niente l’esito necessario del razionalismo cartesiano - contro cui questi, invece, si batteva con veemenza – “l’irreligione naturale è sul storico – sociale un fenomeno di massa e sul piano ideale una specie di forma a priori che impedisce la ricezione così della religione trascendente come dell’ateismo, in quanto questo a suo modo mantiene ancora l’idea del sacro[4]”. Beninteso un sacro secolarizzato e laicizzato che di santo non contiene proprio nulla; ciò che appunto Giovanni Paolo II definì la dittatura del relativismo, che impedisce ogni discorso che non sia allineato con il pensiero dominante propinato e propagandato dalle università, dai mass media e dall’industria culturale. E l’inizio di questo non pensiero irreligioso consiste nel ritenere che lo sviluppo della tecnica comporti una perdita del senso del sacro poiché, se un tempo la religione svolgeva un ruolo di collante sociale, tale funzione viene esercitata nella società del benessere dall’efficacia della tecnica. La filosofia stessa è destinata, secondo i suoi profeti, ad un lento declino, sostituita da una forma debole di sociologismo radicale che, come vedremo tra breve, riaffiora dal non superato marxismo.
Se c’è qualcosa che bisogna capire e chiarire è che il cristianesimo di per sé non è nemico della tecnica e dello sviluppo della scienza, ma che anzi solo nell’orizzonte di una civiltà cristiana è concepibile lo sviluppo di una scienza e di una tecnica al servizio dell’uomo. Non è affatto vero, invece, che solo in una società secolarizzata, e perciò per definizione non cristiana anzi non religiosa, è possibile concepire uno sviluppo della tecnica e un mondo totalmente umano perché in mano all’uomo. Per designare la nuova forma di irreligione bisogna dire che Dio non ha più niente a che fare con l’uomo perché per lui non c’è più spazio nel mondo dell’uomo. L’uomo di oggi crede solamente nella tecnica e in ciò che essa promette. Ma la tecnica applicata alla società come tecnologia è frutto della rivoluzione scientifica del Seicento che vede nel pensiero dei vari Cartesio, Bacone, Copernico, Keplero etc. i loro padri. Il convincimento che la tecnica produce oggi però non è più l’antica formula: progresso - scienza – tecnica; ovvero progresso dell’umanità sull’onda del progresso della scienza e della tecnica, sua ricaduta pratica. Ma: tecnica – scienza – progresso, poiché è la tecnica che ha preso il dominio, determinando l’orizzonte stesso dell’essere[5]. Il progresso nella società opulenta non è più l’orizzonte dell’umanità, ma è l’espansione e il dominio della tecnica ad aver assorbito in sé l’idea del progresso che è diventata funzionale al permanere di tale dominio; ecco perché all’estendersi della mentalità tecnologica si accompagna “quella dell’idea di progresso, la maggiore che essa abbia finora conosciuto[6]”. In questo orizzonte così modificato dalla irreligione, la scienza si sostituisce alla religione stessa, una scienza, però, che non è al servizio dell’uomo, come può accadere solo in un orizzonte cristiano, ma una scienza asservita al dominio della tecnica.
L’aspetto estremamente interessante per il nostro discorso, e che Del Noce ha pienamente evidenziato in questo saggio, consiste nel fatto che “in questa estensione l’idea di progresso realizza pure pienamente un carattere che era venuto acquisendo nel corso della sua storia, quello di diventare una soluzione irreligiosa al problema del male; un postulato opposto a quello del peccato[7]”. Secondo il pensiero irreligioso pantecnicista della società opulenta il disordine del mondo può essere eliminato dal mondo non da una ragione divina chinatasi dall’alto sul male dell’uomo, ma da un’azione che è solo umana in virtù di un’azione che è solamente umana in virtù di una razionalità solo umana. Tutto è nelle nostre mani, lo è sempre stato in virtù della libertà donataci da Dio, libertà nata per dire sì a Dio e che può anche dire no, ma adesso in un senso completamente diverso, in un senso che esclude proprio Dio. In realtà, per quanto paradossale possa sembrare, la scienza moderna è figlia di una visione cristiana dell’uomo e della vita; essa, però, è sfuggita dalle mani dell’uomo e, in un particolare contesto storico, si è rivoltata nel suo contrario determinando il dominio della tecnica. Se l’unico valore riconosciuto sta nell’efficacia della tecnica che può essere misurata, quale efficacia misurabile scientificamente porta con sé l’idea di Dio? Da essa, nell’orizzonte della tecnica, nulla di efficace può venire alla vita umana. “Il progresso può trionfare se noi lo vogliamo[8]” è il motto dello spirito pantecnicista; ma l’essere del progresso consiste nel tagliare i ponti con il passato, con ogni passato: In nome della continua innovazione tecnica ogni presente è già passato. E questo spirito di innovazione tecnica, di continua trasformazione scientifica e tecnologica, che di per sé non è affatto anticristiano, e che si manifesta come società opulenta fa sì che “l’Occidente è oggi pervaso da una spinta progressiva che non ha nulla di rivoluzionario[9]”. Ecco, dunque, che a seguir il ragionamento fin qui sviluppato parrebbe logica conclusione l’affermazione di una inesistente conciliazione tra cristianesimo e sviluppo delle scienze, ed è questa l’idea di fondo del pensiero laico dominante. Del Noce, invece, ci dimostra esattamente il contrario. Confrontando infatti la fisica aristotelica con quella cartesiana egli dimostra come solo all’interno di una concezione fisica di tipo cartesiano è concepibile una rivoluzione scientifica che potesse includere un radicale cambiamento dell’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura. Arrisotele concepiva il mondo come un insieme di forme perfette da contemplare, Cartesio lo concepisce come una macchina che agisce temporalmente e che lo scopo di tale conoscenza consiste non tanto nella contemplazione quanto, invece, nell’impararne i segreti per controllarne le forze ed utilizzarle a vantaggio dell’uomo. Del Noce definisce la fisica di Aristotele come la fisica dell’artista, lontana dai bisogni dell’uomo, la seconda, quella cartesiana, fisica da ingegnere che considera il mondo come qualcosa che può e deve essere posseduto. La prima è concepita in un mondo che giustifica la schiavitù, la seconda in una visione della vita che vuole liberare l’uomo da ogni schiavitù, in uno spirito, quindi, decisamente cristiano. E questa concezione cristiana è in piena sintonia con il dettato biblico: “Riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”[10]. L’impalcatura della fisica cartesiana si fonda su di una distinzione tra l’uomo e il mondo determinata dal cogito. “Si è portati a dire che la fisica cartesiana e la tecnica che le è congiunta è di origine cristiana per la concezione di fondo che ne ha permesso il sorgere; dipende da una verità cristiana l’affermazione della trascendenza dell’uomo sul mondo[11]”. Per quanto paradossale possa sembrare, in riferimento al clima neoilluminista nel quale ci troviamo a vivere, laddove esiste un’idea dell’uomo immago Dei, superiore per destino e per natura all’intero creato, solo in una visione biblica giudeo – cristiana, dunque, lì è possibile l’idea di una rivoluzione della scienza e della tecnica. Insomma, alla base della rivoluzione scientifica del ‘600 c’è la visione cristiana dell’uguaglianza degli uomini dinanzi a Dio, pur nella loro irriducibile diversità soggettiva. E questa connessione è tanto forte che Del Noce stesso riconosce che” una negazione radicale della tecnica non potrebbe quindi essere che negazione dello stesso cristianesimo[12]” .
La cosa interessante di quanto sinora detto sta non solo nel fatto che oggi nessuno si sente portato a riconoscere le radici cristiane della rivoluzione scientifica e dell’avvento della tecnica. In un aspetto ancora più sinistro il ragionamento potrebbe essere questo: Ammettiamo pure che lo sviluppo della tecnica provenga dal cristianesimo e che la tecnica produca lo spirito del dominio e l’oggettivazione dell’uomo, allora una liberazione dal dominio della tecnica, oramai da tutti palesemente riconosciuto un male per l’uomo stesso, potrebbe e dovrebbe avvenire solo in un orizzonte post – cristiano e post – metafisico e post filosofico. Diciamo subito che un tale pensiero, che è poi il pensiero debole, è coessenziale e costitutivo della irreligione e della società opulenta. Inoltre, riteniamo che solamente il cristianesimo nell’età della tecnica può impedire le derive nichiliste insite nello spirito pantecnicista. È quanto andiamo ad argomentare.
All’interno dell’orizzonte apertosi con la rivoluzione copernicana è avvenuto uno slittamento di prospettiva che ha fatto sì che si creasse “un parallelismo tra il progresso delle tecniche e il progresso dell’oggettività[13]”. Lo sviluppo della tecnica ha contribuito alla disoggettivazione dell’uomo e alla sua riduzione assieme al mondo ad oggetto, un processo di crescente oggettivazione: il creato diviene materia, oggetto che serve come materiale delle procedure della tecnica stessa e che contribuisce a nient’altro che al suo accrescimento. L’incremento della tecnica genera l’incremento della spersonalizzazione. La questione, però, non è così semplice come sembra; sta di fatto che nella visione della tecnica l’uomo appare come l’unico centro pianificatore del mondo, dio egli stesso e solo artefice del proprio destino. È questa la promessa che la tecnica fa all’uomo: “diventereste come Dio”. Non solo ci troviamo dinanzi ad un progressivo impoverimento della interiorità in virtù della riduzione di ogni cosa ad oggetto; non solo la tradizione viene abolita in nome di un neo – primitivismo – tecnico, manche nella restituzione di uno stato di innocenza iniziale che Del Noce definisce edenica. “Ciò è naturale, del resto, dato che la tecnica è la negazione più completa della coscienza del peccato in quanto questo non è curabile da nessuna tecnica[14]”. Religione e tecnica sono due realtà opposte: la religione riconosce un limite all’agire umano e riconosce in questo limite la presenza di Dio; la tecnica, invece, riconosce il limite solo per superarlo e lo riconosce fichtianamente come posto dall’Io stesso. Nella visione cristiana della tecnica l’uomo rimane sempre superiore al suo dominio; in una concezione irreligiosa, invece, è la tecnica a dominare alla fine l’uomo dopo averlo irretito nella falsa convinzione di essere lui il signore della tecnica. “Ed è verissimo che la concezione irreligiosa deve finire col portare il tecnicismo all’estremo, perciò che essa distrugge la nozione dell’adorazione e il sentimento del peccato[15]”. L’esito della questione, quindi, non è scontato, nel senso che non è automatica l’esclusione di Dio dallo sviluppo della tecnica. Anzi, in una concezione cosiddetta ateistica la dimensione della dignità dell’uomo, immago Dei, viene conservata. La filosofia di Cartesio porta a Dio, poiché già ne conserva la fede nell’esistenza nella sua opzione fondamentale. E il dio di Cartesio non è affatto un Deus ex machina, ma una profonda esigenza esistenziale del filosofo che trova la sua eco nella filosofia. Invece, la tecnica in un orizzonte irreligioso contribuisce ulteriormente alla spersonalizzazione dell’uomo e alla desacralizzazione del creato. Sinteticamente si potrebbe dire che mentre nell’orizzonte religioso giudeo – cristiano la natura è creato, in quello greco è ens, l’insieme dei tà onta, nell’orizzonte irreligioso tutto diviene materia utile allo sviluppo e all’incremento della tecnica stessa. Ogni cosa diviene materiale di un qualunque processo tecnico. Ecco perché Del Noce sottolinea che “è opportuno (…) vedere un nesso tra l’assolutizzazione del tecnicismo e la società che si suol dire opulenta[16]”. Dunque, la società opulenta è quel particolare tipo di società che si è affermata in Europa nel II dopoguerra in cui una particolare connessione di fatti e di scelte ha determinato “l’affermarsi della mentalità nella sua pienezza[17]”. A comprendere cos’è, in definitiva, la società opulenta e come si sia generata ci aiuta l’analisi contenuta negli Appunti di Del Noce. In primis, essa è quel particolare tipo di società in cui viene eliminata la molla della rivoluzione portando al massimo l’alienazione[18]. La società così generata è una società in cui i rapporti sono irreligiosi nel senso di appartenenza determinato dalla religione, il senso dell’esistere comune non è più orientato all’attesa della venuta del Messia, e alla conseguente preparazione della via al Messia che ritorna. La società opulenta è dunque una società ripiegata completamente sul presente e chiusa in se stessa; essa è, in fondo, una società autoilatrica. Ma è una società che ha definitivamente oltrepassato il marxismo nella sua lotta contro questo in quanto, pur avendo ridotto la miseria sostituendovi il benessere non ha abolito l’alienazione. Ed è proprio questa riduzione della miseria all’interno del suo spazio in espansione, riducendo cioè sempre al basso la fascia di povertà estrema, con l’offerta di sempre nuovi prodotti a prezzo sempre più competitivo, nel suo stesso allargarsi a comprendere sempre nuove nazioni che ha sconfitto il marxismo e la società comunista che da esso discende. Infatti, secondo la posizione marxista “è l’accumulazione della miseria la miseria crescente e non l’alienazione ciò che rende ineluttabile la rivoluzione, che deve avvenire non già in ragione di un valore morale, ma in ragione di leggi immanenti dell’evoluzione storica[19]. La società opulenta avendo così eliminato la miseria (meglio sarebbe dire: essendosi messa sulla linea della eliminazione), con il progressivo allargamento della partecipazione sempre crescente delle masse al godimento delle ricchezze, ha smontato la molla rivoluzionaria senza eliminare l’alienazione, il che significa che l’alienazione persiste, nelle società comuniste, insieme alla miseria, come un’attenta analisi di qui regimi ha dimostrato[20]. La risoluzione dell’alienazione dell’uomo appartiene decisamente alla sfera religiosa dell’uomo e al suo rapporto cruciale con Dio e con i fratelli. Questo il primo grande inganno del marxismo, il non aver voluto o potuto comprendere questo aspetto profondo dell’uomo e averlo ridotto a pure relazioni economiche. Del Noce sottolinea esattamente questo punto quando dice che “del marxismo la società opulenta misura ad un tempo la forza e l’impotenza[21]”, la forza perché nello scontro con il marxismo la società opulenta rivela tutta la sua inconciliabilità con la società cristiana, liberale e signorile; la sua debolezza perché il marxismo è uscito sconfitto dallo scontro. Tant’è che “la società opulenta è l’unica nella storia del mondo che non abbia origina da una religione ma sorga essenzialmente contro una religione, anche se per paradosso, questa religione è la marxista[22]”, dunque, nella società opulenta si crea l’atmosfera adatta al pantecnicismo in quanto l’unico valore che rimane al di là della “morte di Dio” è quello dell’efficacia del risultato. Ma cosa accade quando si passa dalla dimensione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema produttivo a quella del riposo? Accade che il vuoto e la noia assalgono l’uomo, accade che egli si misura in base ai suoi bisogni che, in un certo senso diventano la misura del suo mondo[23]. Vivere, nella dimensione pre-etica dell’esistenza, cioè in quella egoistica che caratterizza in genere l’uomo moderno, diventa godere, e il godimento, che consiste nel soddisfare il proprio bisogni, determina l’essere dell’esistenza.
Sta di fatto che nell’era del pantecnicismo e della società opulenta convivono il primitivismo degli istinti, poiché l’uomo si è ridotto a questo, e l’ipertecnicità e complessità della società. L’uomo, liberato dalla fatica, non conquista la sua libertà, che è ben altro, ma ottiene solo tempo in più per soddisfare nuovi bisogni nel vano tentativo di ritrovarsi identificandosi in essi. Ma così facendo non fa che alimentare ulteriormente il circolo che diviene vizioso. In questo contesto “liberarsi dall’alienazione da una secolare repressione e inibizione degli istinti[24]”. Al “bene”, in campo etico, si sostituisce il corrispettivo del concetto di “benessere” e cioè quello dell’efficienza sensibile colta come l’unico “valore”; ma, l’efficienza è l’elemento caratterizzante lo spirito di tecnicità e dunque la morale della società irreligiosa è ancora una morale senza peccato. In ciò dimostrando di essere figlia del marxismo. Del Noce ci pone dinanzi ad un quesito radicale quando si chiede egli stesso: “non può dirsi allora che l’irreligione attuale del mondo occidentale non sia che il riflesso del fatto che questo mondo subisce, nell’opposizione che le è costitutiva, il marxismo, in ragione di un mancato reale oltrepassamento?[25]”.
Ora, noi ci chiediamo, e cercheremo di mostrarlo, il modo di un reale oltrepassamento di questo aspetto, dopo aver dimostrato in che modo si manifesta questo stesso aspetto.
Ogni società, ogni epoca, hanno un pensiero fondamentale, e fondante, che le caratterizza, che ne determina in un certo senso l’essere. Il pensiero della società opulenta è questa particolare forma di “relativismo assoluto” che Del Noce chiamò “sociologismo”[26] e che possiamo tranquillamente riconoscere nel pensiero debole, e nella post modernità, una delle sue manifestazioni essenziali. Secondo il filosofo cattolico questo “pensiero dominante” si è determinato applicando la critica marxista delle ideologie allo stesso marxismo che viene ridotto alla stregua di un’ideologia tra le altre; dunque, smontato della sua pretesa apodittica di possedere la verità, sia pure sotto forma di scienza economica. Infatti, “il sociologismo si presenta come l’unica posizione veramente post- marxista allo stesso modo che la società opulenta si presenta come l’unica posizione post- comunista[27]”. E non è un caso che questo relativismo integrale, nella sua versione del pensiero debole, si presenta come antifilosofia e negazione della metafisica, poiché mentre la Filosofia si pone alla ricerca della verità, questo pensiero si pone, invece, come negazione della verità nella forma dell’affermazione della sua inesistenza ed utilità. Di qui anche la crisi del marxismo stesso all’interno della società opulenta, crisi che ne evidenzia la sua definitiva morte. Infatti, rivela Del Noce che: “non si può parlare, nella nuova educazione al pensiero relativista, di una sociologia accanto alla filosofia, come trattazione di problemi diversi; ma di una sociologia che surroga la filosofia, perché ne assolve completamente la funzione critica[28]”. Il relativismo poi, diviene essenziale al pantecnicismo della società opulenta in quanto contribuisce a sradicare l’uomo dalla tradizione e dalla storia e ne fa un uomo massa. Il rischio di una società senza valori dominata da un relativismo assoluto è quello di una nuova forma di totalitarismo, mascherato da democrazia, che espelle via da sé ogni forma di pensiero metafisico negandogli ogni cittadinanza. Di questo nuovo totalitarismo neoilluminista, antireligioso ed anticattolico, ne sono manifestazioni lampanti, per esempio, tanto le opposizioni e gli impedimenti messi in atto per impedire al Papa di tenere la sua lectio magistralis all’università la Sapienza quanto certe forme radicali di protesta e di opposizione all’esistenza dello Stato di Israele, o l’oblio circa il Darfour. Dunque, nell’orizzonte della società opulenta, che pure è il suo contrario, la critica alle ideologie - metodo di un partito e di una ideologia, quello cioè marxista - è stato elevato a metodo universale di interpretazione che include in sé la critica al marxismo stesso, che, conservando in sé un nucleo di verità apodittiche pure conservava la sua forma di religione secolare. In tal modo lo riduce ad una ideologia tra le atre. È ovvio che questo destino nella società opulenta non tocca solo al marxismo, ma ad ogni filosofia, che nell’orizzonte del pensiero debole viene ridotta a mere espressioni di determinate epoche e società. L’ateismo, inteso in questo senso “è il fenomeno più caratteristico della nostra epoca, senza precedenti storici [29]”.
Com’è potuto accadere tutto questo? In che modo l’irreligione si è potuta sviluppare come fenomeno di massa? Certamente il fiele della critica alle ideologie del marxismo, attraverso il relativismo ha permeato di sé la società, ma questo fatto è più la conseguenza che l’origine del fenomeno. Tale origine è un po’ più oltre. La vera questione di fondo sta piuttosto in una “opzione fondamentale” di tipo etico, che precede ogni atteggiamento teoretico e che, anzi, ne determina la stessa possibilità. Questa opzione fondamentale non è soltanto esistenziale, ma, in un certo senso, è collettiva e si presenta come la vera tentazione del nostro tempo. “È verissimo – sottolinea Augusto Del Noce – che a fondamento dell’ateismo assoluto c’è una opzione, cioè una considerazione di valori, prima di una considerazione di realtà[30]”. Ben a ragione si riconosce che il nostro secolo viene dopo Nietzsche[31], ma a differenza di Del Noce noi vediamo una continuità con l’ateismo ottocentesco che si fondava sul mito rousseauoiano del buon selvaggio e sulla filosofia di Kant. E ciò perché l’accordo ultrasensibile tra virtù e felicità è un’esigenza logica della ragione pratica in Kant e non tanto un bisogno esistenziale dell’uomo. L’empietà del nostro tempo consiste nel ritenere che Dio sia un impedimento alla emancipazione e piena realizzazione dell’uomo e della sua libertà. Tant’è che “la negazione di Dio è necessaria per la possibilità di una morale, di una scienza e di una politica veramente rigorose[32]”. Inoltre, il fenomeno della irreligione è essenzialmente un particolare tipo di ateismo possibile solo dopo il cristianesimo[33]. L’illuminismo greco, infatti, a differenza di quello settecentesco non si è mai concluso nell’ateismo. Basti semplicemente ricordare quanto durante il suo processo Socrate si sia sforzato – ed a ragione – di dimostrare, ovvero che la sua filosofia tutt’altro era che empia. È durante l’illuminismo moderno che emerge, come vincente, quella opzione fondamentale nota già al tempo di Giordano Bruno che consisteva nella negazione dello status naturae lapsae.
Nell’enciclica Spe Salvi Benedetto XVI ha sottolineato quanto questo aspetto abbia determinato lo scadimento della civiltà europea che nasceva dalla rivoluzione scientifica[34]. La stessa cosa notava Hans Jonas in un interessante articolo degli anni ’60 in cui discuteva degli aspetti etici dello sviluppo della tecnica in una prospettiva ebraica[35]. Questi scriveva che la cosiddetta bioetica laica, che si fonda su di un atteggiamento laico nei confronti della vita, ha come posizione filosofica di fondo quella di chi ragiona indipendentemente da Dio: etsi Deus non daretur. Essa ha al suo interno una molteplicità di posizioni che hanno come comun denominatore il principio della “qualità della vita”.
Essa ritiene che la morale è un fatto umano e che è l’uomo (e non Dio o la natura) a stabilire le norme comportamentali. Tale concezione: 1) contrappone l’idea di cultura a quella di natura ritenendo che tutto è cultura, e che la natura essendo cultura dipende dalla volontà dell’uomo; 2) nega l’esistenza di valori assoluti che siano indipendenti dalla volontà degli individui; 3) essa pone come criterio di scelta non la “vita” in quanto tale ma la “qualità della vita”; 4) tale qualità della vita non è assoluta, ma viene stabilita di volta in volta. La bioetica laica tende a porsi come un’etica deontologica “prima facie” basata cioè su principi e valori che ammettono eccezioni. Inoltre, in caso di conflitto tra doveri, si ispira al principio “utilitarista” della benevolenza, ossia preferisce il dovere che, in una società data, massimizza i benefici e minimizza i danni. Inoltre, anche il concetto di natura viene modificato, tanto che viene rifiutata “la creazione[36]”, si cancella il concetto di Dio e il mondo diviene senza scopo, è cioè privo di un telos, e di una storia della salvezza, di cui la creazione non è che un momento.
Il rifiuto della condizione di peccato dell’uomo, cioè appunto il suo status naturae lapsae, precede non segue l’affermazione nietzschiana della morte di Dio. Per quanto Marx e Nietzsche siano due posizioni inconciliabili di ateismo, quello nietzschiano rappresenta proprio il compimento del nichilismo. Su questo compimento si fonda – e di questo compimento si nutre – la società opulenta, frutto, quindi, tanto del mancato superamento del marxismo, come sostiene Del Noce, quanto del compimento in Nietzsche del nichilismo[37]. E ciò perché ogni visione del male, anche la più lontana, la più remota, si forma sempre come implicita risposta intorno al problema del peccato originale; essa è, infatti, sempre una risposta al problema del male. Nemmeno il tentativo nietzschiano di spostare il problema al di là del bene e del male, è al di là di questa opzione fondamentale, per il semplice fatto che ci rifiutiamo di credere che Nietzsche solo ci abbia detto la verità, mentre fin dalle origini l’intera umanità abbia errato. Non ci pare che Nietzsche sia il Messia, né tantomeno il suo uomo folle che lucidamente Nietzsche pose come parodia del Messia nel suo famosissimo aforisma 125 della Gaia Scienza e poi nello Zarathustra. Quanto questa posizione sia anticristiana – se mai ce ne fosse ancora bisogno – lo si capisce dalla conseguenza logica del rifiuto a priori proprio dello status naturae lapsae. Del Noce, infatti, sottolinea quanto il rifiuto della “caduta iniziale” porti poi ad assumere la condizione umana decaduta quale condizione “normale”. Da ciò consegue che “una simile assunzione della realtà decaduta dell’uomo a sua realtà normale non può non coincidere con l’assunzione come normale del destino di morte dell’essere finito; con l’affermazione quindi della negatività del finito[38]”. Idea, questa, tutta hegeliano – marxista, vera origine del pensiero totalitario del Novecento. Infatti, se in Hegel il finito si risolve dialetticamente nell’infinito, in Marx l’individuo si dissolve nel collettivo, avendo questi sostituito alla figura del filosofo di Hegel, il rivoluzionario. Con questa introduzione il problema si sposta dalla conoscenza alla politica. Il cristianesimo, invece, è proprio il contrario, ovvero, l’affermazione del valore infinito del finito, cioè dell’uomo, cui Dio rivolge il suo sguardo. La sostituzione della figura del rivoluzionario a quella del filosofo, operata da Marx, fusa poi al pensiero utopico moderno genera “la sostituzione della politica alla religione nella liberazione dell’uomo[39]”. Qui notiamo un particolare sfuggito a Del Noce, e cioè che nel cristianesimo la questione di fondo è la salvezza eterna che nel pensiero politico diviene liberazione politica, ma le due cose rimangono del tutto differenti. Nel pensiero secolarizzato il male è frutto di una stortura della società e non è causata, come nel pensiero cristiano, del peccato originale.
Nella società opulenta il cristianesimo secolarizzato, nutrendosi soprattutto del pensiero dominante, corre il rischio di confondere e far scadere il kerigma in una sorta di neopelagianesimo, cioè di un’affermazione di Dio, dell’eternità, della libertà, ma di una negazione di fatto della peccato e della grazia di Dio, annullando il valore salvifico del sacrificio di Gesù Cristo nel tentativo infondo di ibridarsi con le religioni non cristiane e con il pensiero laico. Questa forma di neo illuminismo, questa forma di religione rousseuaiana sembra essere la tentazione di un certo cristianesimo. È questo rifiuto iniziale, frutto di una opzione fondamentale, della natura decaduta che porta all’ateismo irreligioso della società opulenta. Tutto ciò è confermato proprio dalla scelta che Nietzsche fa della filosofia nell’età tragica dei greci del detto anassimandreo per spiegare il male nel mondo e la sua origine. Heidegger, nei suoi Holzwege, non fa che riproporre e commentare ulteriormente il detto di Anassimandro. O si sceglie questa visione dell’origine del male oppure quella della Genesi: non vi sono alternative. E questa scelta che è una scelta etica ed esistenziale, precede ogni metafisica. A ragione del Noce ripete che “l’essenza del razionalismo è un’opzione gratuita per l’aseità e l’autosufficienza dell’uomo; non è che il risultato di prove speculative, ma questa sono invece argomenti successivi all’opzione, attraverso i quali essa pretende di legittimarsi[40]”. Le prove medievali e moderne circa l’esistenza di Dio, dette anche vie, presuppongo già le fede nel Dio che si cerca, e servono solamente a dimostrare, per esempio nel caso di Cartesio, la compatibilità tra razionalismo e fede, non a caso le prime vere prove le si hanno con S. Anselmo d’Aosta.
Ci rimane un ultimo punto su cui riflettere, e cioè come si sia sviluppata in Europa la società opulenta. Non è un caso che nella società opulenta, che è poi la società del benessere, la Filosofia si presenti tutt’al più come filosofie. Infatti, “quando si fa del benessere il fine della società, la filosofia come tale dev’essere abolita[41]”. Questo fatto ha come conseguenza la sopravvalutazione delle scienze e la riduzione della filosofia al massimo alla epistemologia; inoltre, poiché comunque alla filosofia compete rispondere a domande sull’essenza e sul destino dell’uomo, “quando la filosofia abdica in favore della scienza e se ne fa ancella, la differenza fra uomo ed animale va perduta[42]”. Ma non è solo questo. L’opzione fondamentale del rifiuto dello status naturae lapsae mette l’uomo in balia dei mostri che egli stesso ha evocato. Tra l’altro, la dimensione dell’interiorità e dello spirito vengono abolite a vantaggio di una serie di bisogni da soddisfare. “L’uomo ridotto” ai suoi bisogni, “l’uomo animalizzato” rappresenta l’ultima frontiera della società opulenta convinta che “una volta soddisfatti i bisogni sensibili dell’uomo, tutti gli istinti aggressivi verranno a cessare: l’utopia tipica della società del benessere[43]” come l’ha definita Del Noce. Essa, in quanto società del nichilismo compiuto al di là del bene e del male diviene la società dello spirito di menzogna e della malafede. Bisogna di nuovo sottolineare che la filosofia della società opulenta è una miscela esplosiva di marxismo e di filosofia nietzschiana che dal marxismo ricava la riduzione di tutto ad un relativismo assoluto e da Nietzsche un prospettivismo che produce gli stessi effetti. Una tale società è nemica del concetto di Tradizione - che nella Chiesa si traduce in Traditio – tanto che il suo modello di intellettuale è antitradizionalista, uno che ha accettato la morte di Dio e che critica gli aspetti religiosi ancora presenti nel marxismo[44]. La filosofia, ma ci vergogniamo di definirla tale, è una filosofia totalitaria e nemica della libertà. Infine, la società opulenta è una società che ha sostituito, rendendola essenziale al suo sviluppo, la contestazione alla rivoluzione; nel senso che ridotta a pensiero negativo, a negativismo assoluto, scardina ogni legame con il passato. In più bisogna dire che tale società è una società che prevede al suo interno la pace, intesa come controllo dei conflitti, man mano che si allarga, produce al suo interno un sistema di pax controllata. Ciò accade perché per essa la “massa individualizzata” è una fonte di ricchezza. Tale massa sostiene il sistema e finché esistono risorse e consumatori, il sistema si mantiene e conserva in sé l’alienazione come suo momento costitutivo. Per massa individualizzata, vero segno caratteristico della società post industriale, si intende non più la massa irreggimentata dei sistemi totalitari di inizio Novecento, ma la massa che è costituita da individui che vogliono, desiderano ed acquistano, che sono, appunto, centri di desiderio. Ma come si è sviluppata in Europa una tale società? Dico Europa perché persistono delle differenze interne al sistema che la rendono, in parte, diversissima dallo sviluppo che ha avuto in America o che sta avendo in altri centri come Russia o Cina o India. Del Noce fa notare che “alla fine della guerra – la II guerra mondiale – e davanti alla minaccia comunista, due vie si presentavano possibili: un risveglio religioso, o la società del benessere[45]. All’ideale di una vita dedicata al bene e alla trascendenza, nell’attesa del ritorno del Messia nel monito del Battista, cioè nella scelta di una vera vita buona; ebbene, a questo modello si è sostituito il benessere e si è così innescato “quel processo di alienazione del sacro che è essenziale alla società opulenta[46]”.
In questo contesto il cristianesimo stesso è sottoposto ad un’opera di erosione di un’intensità sinora mai vista. In genere si è soliti contrapporre (e questo è un ragionamento dialettico, che usa una dialettica hegeliano – marxista) da una parte il mondo Occidentale capitalista, identificando il modello americano come sua origine, e dall’altra il modello opposto che in un modo o nell’altro si rifà al pensiero marxista. Alle persone che pensano in tal modo sfugge un fatto estremamente importante che il filosofi cattolico ci ha insegnato a scorgere, e cioè chela società del benessere, per l’eterogenesi dei fini, nasce - e si rivela – nello scontro con il suo opposto, in una irrisolta tensione, per nulla definitiva. In essa si è manifestata definitivamente la conclusione di un’idea: “quella della rivoluzione come sostituzione della politica alla religione nella liberazione dell’uomo[47]” l’epoca delle utopie si è conclusa, è calato il sipario sulla scena che ha dominato incontrastata l’epoca moderna: il mito di Prometeo, quel mito per il quale la civiltà nasce da un furto fatto agli dei, quel mito per il quale l’uomo può costruire, grazie alla scienza sia quella fisico – matematiche sia quella economica, una società completamente umana. È questa la versione ultima del racconto biblico della Torre di Babele. Del Noce parla di quest’essenza erosasi nel ’68 e dice che essa “ha avuto il suo ultimo atto nel marxismo, che realizzandosi storicamente ha dato luogo al suo opposto, la società del benessere: che non è possibile oltrepassare per via della rivoluzione, ma soltanto per quella della restaurazione della dimensione religiosa e dell’autorità morale dei valori[48]. Ogni discorso diverso da questo, incluso il fenomeno dei movimenti giovanili che come le onde non fanno che ripetersi all’interno dell’immutato orizzonte della società opulenta, sono, nella loro contestazione coessenziali della società del benessere, ne sono parte integrante che si manifesta nella lotta irrazionale alla tradizione civile e alla traditio religiosa per partito preso, in un’ansia di rinnovamento che, invece, è proprio il motore nascosto della società opulenta che questi movimenti vogliono contestare.
In tutto questo, il cristianesimo può correre il rischio di cedere alla tentazione nichilista e relativista della società del benessere[49] e cadere nel duplice errore o di opporsi alla modernità in modo sterile, in nome di una errata analisi secondo cui cristianesimo e sviluppo delle scienze sarebbero incompatibili; o, dall’altra parte, cedere alla tentazione di un neo pelagianesimo, facendo proprio il pensiero della modernità, pensandosi cioè a partire dalle sue categorie, nell’assurdo tentativo di volersi conciliare, in senso hegeliano, con il mondo. Il rischio del cristianesimo è quello di diventare un cristianesimo senza Cristo – e senza Chiesa -, mentre il rischio che corre la Chiesa è quello di svilirsi in una forma di “associazionismo del fare” che la svaluta e la porta ad identificarsi con il mondo stesso. Soltanto una Chiesa che annuncia il Kerigma, è una Chiesa che svolge la sua missione nel tempo e solo una Chiesa in comunione con il Capo e il suo rappresentante in terra è apostolica. La pluralità e la diversità non possono essere negazione della guida del papa, neppure in modo strisciante, infatti, Stati passano, nascono crescono e muoiono, gli imperi pure, mentre il compito della Chiesa deve necessariamente rimane lo stesso fino alla fine dei tempi perché la domanda provocatoria del Messia non divenga un’amara constatazione: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? [50]”.
[1] Augusto Del Noce, Appunti sulla irreligione occidentale, in Augusto Del Noce, Il problema dell’Ateismo, Il Mulino, Bologna, 1964, p. 295. D’ora in poi: PdA.
[2] PdA: p. 295.
[3] PdA, p. 298.
[4] PdA, p. 298.
[5] Cfr. PdA, p. 302.
[6] PdA, p. 303.
[7] PdA, p. 303.
[8] PdA, p. 305.
[9] PdA, p.305.
[10] Gen 1,28.
[11] PdA, p. 308.
[12] PdA, p. 320.
[13] PdA, p. 311.
[14] PdA, p. 312.
[15] PdA, p. 313.
[16] PdA, p. 314.
[17] PdA, p. 314.
[18] Dove “per alienazione intendiamo la disumanizzazione reciproca del rapporto di alterità” afferma Del Noce, PdA, p. 314.
[19] PdA, p. 315.
[20] La Cina è un caso particolare dove persiste un regime comunista con una crescente società opulenta che conserva un elevato grado di alienazione ed una inesistente libertà individuale.
[21] PdA, p. 316.
[22] PdA, p. 328. Che il marxismo sia una religione nella sua struttura di pensiero profonda è evidenziato da quanto lo stesso Del Noce, nei suoi studi evidenzia. Infatti, ne Il problema dell’Ateismo dice: “Il marxismo mantiene un certo numero di verità eterne, sotto forma di giudizi teoretici e giudizi di valore, che sono pensati come universali, validi per tutti gli uomini in ogni tempo. Per es:l’idea dell’uomo sociale, intesa come negazione completa dell’idea platonico-cristiana della partecipazione. Critica della categoria dell’interiorità che, in quanto coincide con quella del privato, è il fondamento della stessa critica della proprietà privata. L’idea della dialettica come unità del razionale e del reale. Quella della possibilità obiettiva della realizzazione storica di una comunità umana autentica, caratterizzata dall’abolizione delle stesse classi sociali e dello sfruttamento. Quella dell’unità di teoria e pratica, per cui dalla critica della filosofia speculativa e dalla riduzione dell’idea a strumento di produzione, consegue che la filosofia non si esprimerà più nella forma del sistema, come comprensione di una totalità realizzata, ma nella realizzazione di una totalità. Quella della visione della storia, diciamo così, modernista, per cui è vero e lo sarà sempre che la società capitalista, e le forme di pensiero che le corrispondono (cioè il razionalismo), ha rappresentato un progresso rispetto alla società feudale e alle forme mistiche di pensero, e che la società socialista segnerà a sua volta un progresso sulla società capitalista”. Ivi, pp. 326s. Circa il carattere di religione del marxismo, mi permetto, inoltre di rimandare il paziente lettore alla lettura del mio saggio La Ragione oltre la Ratio, Armando, Roma, 2007, pp 33 – 39, ed infine al notevole saggio di Karl Jaspers, intitolato Vernunft und Widervernunft in unserer Zeit, trad Italiana, Ragione e Antiragione del nostro tempo, SE, Milano, 1999.
[23] Riguardo al concetto di bisogno come descrittore del modo del singolo e della sua esistenza è interessante e di notevole valore lo studio che di tale esistenziale compie Levinas nel suo Totalità e infinito. Qui egli scrive: “Noi viviamo di “grana”, d’aria, di luce, di spettacoli, di lavoro. Di idee, di sonno, etc…non si tratta di oggetti di rappresentazione. Ne viviamo… ciò di cui viviamo non ci rende schiavi, ne godiamo… l’essere umano si compiace dei suoi bisogni, è felice dei suoi bisogni”. Totalità et infini, trad. it. Totalità e infinito, Jaka Book, Milano, 1971.Ivi, pp. 112 – 114.
[24] PdA, p. 319.
[25] PdA, p. 320.
[26] PdA, p. 320.
[27] PdA, p. 321.
[28] PdA, p. 322
[29] PdA, p. 335.
[30] PdA, 343.
[31] Cfr. Augusto Del Noce, PdA, 343.
[32] PdA, p.345.
[33] “Non può esserci ateismo completo che dopo il cristianesimo” ricorda Del Noce, PdA, p. 326.
[34] Cfr. SPE SALVI, 16 – 17.
[35] Cfr. Hans Jonas , Problemi attuali dell’etica in una prospettiva ebraica, in Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Bologna, il Mulino, 1991, pp. 256 – 274. D’ora in poi: FAUT, p. 258.
[36] FAUT, p. 258.
[37]“Nella storia abbiamo due posizioni essenziali di ateismo: l’ateismo negativo, o come suol dirsi nichilismo che consiste nella dichiarazione del,a fine di un mondo soprasensibile che abbia potere di obbligazione. E un ateismo positivo che vuole appunto essere la critica più rigorosa di questo nichilismo; dovrà portare, in Marx alla fondazione di una città ideale, nell’unificazione di due posizioni tradizionalmente opposte, il massimo dell’utopia, e il massimo del realismo politico; in Nietzsche, a una nuova sorgente dei valori nella volontà di potenza”. PdA, p. 348. IN definitiva, anche io marxismo è in fondo una forma di nichilismo in quanto nega, sostituendosi ad esso, il messaggio biblico della redenzione operata da Dio.
[38] PdA, p. 356. Basti tener presente quanto l’essere-per-la-morte di Heidegger sia il fondamento senza fondamento dell’esistenza stessa. Cfr. Martin Heidegger, Sein und Zeit, trad. it a cura di Pietro Chiodi, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, 1976, par 52 – 53.
[39] PdA, p. 362.
[40] PdA, p. 366.
[41] PdA, p. 292.
[42] PdA. P. 292. Non a caso una delle tendenze della filosofia contemporanea consiste proprio nel cosiddetto pensiero de - localizzato, cioè quel pensiero del corpo che, ridottosi a corporeità ed istinto, nel misero tentativo di uscire dagli eccessi del razionalismo sminuisce la funzione della ragione.
[43] PdA, p.293.
[44] Cfr. Del Noce, PdA, p. 294.
[45] PdA, p. 297.
[46] PdA, p. 298.
[47] PdA, p. 305.
[48] Ovvero che nello scontro con il marxismo la società mercantile ne assorbe alcuni aspetti integrandoli in sé. PdA, p. 305.
[49] Interessantissimo sarebbe una lettura della modernità e del presente tendo conto di quanto scritto nella Lettera a Diogneto.
[50] Lc 8,18b.