L’ENCICLICA SPE SALVI DI BENDETTO XVI*

Capitolo 3 del Saggio: Massmiliano Mirto, Il cristinesimo nell'età della tecnica, Quaderni della Biblioteca e dell'Archivio Arcivescvile di Capua, Capua, 2009.

 

1.Analisi della modernità

La prima cosa da chiedersi è: “Perché un’enciclica che ha per tema la speranza?”. Ma questa domanda ne presuppone un’altra: “Perché il Papa scrive un’enciclica e a chi si rivolge?”.

Enciclica (dal greco Enkùklikioi, circolare) sta per lettera solenne che il pontefice, in quanto successore di Pietro, invia alla cristianità. Il testo, quindi, per essere pienamente compreso, presuppone la fede cattolica e la pienezza della comunione con il successore stesso di Pietro, in questo caso Benedetto XVI.

Detto questo, resta da chiedersi: “cui prodest?” cioè “a che scopo viene scritta un’enciclica?” Ebbene, essa serve ad avvertire, illuminare, chiarire, mettere in guardia, suggerire delle linee ermeneutiche, operative e teologiche, indicare il cammino alla Chiesa; ma ha anche come scopo quello di rivolgersi ad ogni fedele sia esso Vescovo o laico[1], presbitero o diacono e, in questo caso, essa vuole confortare, esortare, guidare, sostenere, in breve, come dice nel vangelo Gesù a Pietro: “confermare i fratelli nella fede”.

Ed ecco qui a porci di nuovo la domanda iniziale: “perché un’enciclica sulla speranza?”.

Perché il rischio cui sta andando incontro la cristianità del nostro tempo è quello della perdita del senso della trascendenza, intesa come senso di Dio; questo fa sì che venga meno la stessa fede. Il rischio della cattolicità, soprattutto quella europea, è quindi, quello della secolarizzazione del cristianesimo, della riduzione della fede alla sfera del privato; l’asservimento, cioè, della fede alla ragione illuminista auto fondante ed auto referenziante unica ed assoluta artefice del suo destino, ragione immanente che domina in questo tempo il continente europeo e non solo.

Benedetto XVI con questa lettera vuole ridare innanzitutto fiato alla speranza, vuole richiamare il cristiano alla sua missione che è quella di essere “sale” ed essere sale in questo tempo significa testimoniare al mondo che ogni forma di immanenza produce un totalitarismo. Quello della nostra epoca è il totalitarismo della tecnica, l’ultima e più sofisticata forma di totalitarismo in quanto mascherato di permissivismo e di una omnilibertas fondata sul principio di piacere che si risolve esattamente nel suo opposto: la schiavitù alla dittatura del mercato. Al contrario, la destinazione dell’uomo, che deve essere anticipata escatologicamente dal cristiano nella propria esistenza[2]  come compito e missione propria, è quella di una ragione aperta alla trascendenza, al divino, di una ragione capace di Dio, come recita il catechismo della chiesa cattolica. La speranza è dunque apertura all’irrompere del divino, di Dio che viene a prendere posto come Re nella storia dell’uomo. Inoltre, il Papa ha premura con questa lettera di ribadire che il nichilismo non è il destino dell’Occidente, come molti filosofi tentano di far credere, ma una sua tentazione contro la quale il cristiano è chiamato a combattere, soprattutto e prima nella chiesa stessa, poi nel mondo.

Un altro punto, a mio parere centrale nella lettera, sta nel fatto che qui si fanno i conti sia con un’errata interpretazione del Concilio Vaticano II e del suo rapporto con la modernità, che ha dominato incontrastata dagli anni ’60 ad oggi,[3] e sia che si chiude con un certo atteggiamento prone e timoroso degli intellettuali cattolici nei confronti del pensiero moderno.  Riguardo al primo punto, e cioè all’errata ermeneutica di sé e della sua missione, che una certa parte della chiesa ha fatto a partire dal Concilio in poi, quella cioè secondo la quale la tradizione millenaria della chiesa andava gettata alle ortiche per rifarsi interamente alla esperienza della chiesa primitiva bypassando tutta la storia successiva, accenno dicendo che  il Papa risponde, tra le righe di questa enciclica, che l’innovazione del Concilio va letta nella “continuità” della tradizione e non nella rottura dialettica con essa. Una tale categoria logica, infatti, non appartiene alla storia e alla pratica ecclesiale, essendo la traditio[4] uno degli elementi fondativi della vita della Chiesa stessa nel tempo.  Riguardo al secondo punto, ovvero alla resa dei conti circa un certo atteggiamento degli intellettuali cattolici nei confronti della cultura dei “non credenti”, la lettera del Papa sottolinea che tale atteggiamento è consistito nell’errata lettura del cristianesimo da parte degli stessi cristiani a partire dagli esiti nichilisti del pensiero moderno che si dà in quanto processo di scristianizzazione della società. Tutto ciò comporta proprio la scristianizzazione dello stesso cristianesimo, ovvero la perdita della sua speranza fondativa, “la redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente” [5] conferma il Papa. Un cristiano senza speranza è sale che non sala. E, dunque, cos’è questa speranza cui il papa richiama il cristiano per la salvezza del mondo? La speranza è l’apertura al compimento in Dio dell’esistenza, cioè l’avvertire per fede che la nostra vita avrà in Dio la sua piena realizzazione, ma tutto questo ha una ricaduta sul presente poiché “solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile il presente” [6]. Qui sta la missione del cristiano, che consiste nel presentificare[7] nella propria esistenza la portata epocale della promessa di Dio; questo è il succo della speranza cristiana.

Quest’ultimo punto ci conduce, dunque, al centro della questione: lo scontro del messaggio cristiano prima con il marxismo stesso e poi con il cattocomunismo che da esso deriva come ibrido; tale scontro determina l’impossibilità di ogni conciliazione, l’incompatibilità tra cristianesimo e comunismo, proprio in virtù della differenza originaria intorno alla categoria della speranza. Essa per il cristiano è una virtù teologale mentre per il comunismo è frutto di un progetto umano e della disciplina di partito che la realizza nella rivoluzione. Il filosofo marxista Ernst Bloch nella sua biografia filosofica su Marx[8] dedicò un capitolo intero alla questione della speranza nel marxismo, una speranza di cui solo l’uomo è autore, una speranza che consisteva nella credenza che l’uomo potesse da solo edificare il regno della giustizia a partire dal progetto della trasformazione rivoluzionaria del sistema produttivo. Una speranza, dunque, che si pone il compito di sostituirsi al cristianesimo, ritenuto insufficiente nel realizzare le promesse che lo hanno caratterizzato fin dalla nascita. Bisogna però dire che la concezione marxista si basa sulla convinzione che l’uomo è buono in natura e che la società lo corrompe[9] e che una trasformazione della società in senso comunista riporterà l’uomo alla pienezza della sua umanità. Dov’è che si parla del peccato qui? Da nessuna parte! Ecco, dunque, esplicitato il primo punto di assoluta inconciliabilità tra cristianesimo e marxismo. Ma c’è un secondo punto intorno a cui riflettere. Il comunismo ritiene non solo che l’uomo conosca da sé qual è il suo vero bene, ma ritiene anche che una volta conosciutolo lo possa, con le sue sole forze, realizzare. Il marxismo è dunque un “messianismo senza Messia” secondo la famosa espressione di Von Balthasar. Mi chiedo: “che dialogo può esserci tra il cristianesimo che si fonda sull’attesa della seconda venuta del Messia, che instaura il suo Regno, e che chiama questa attesa speranza e il marxismo che ne è l’esatto opposto?”. Ovviamente nessuno. La falsa speranza del comunismo ha pienamente manifestato i suoi esisti. La storia che Marx invocava come il luogo di verifica di ogni teoria ha già dimostrato a cosa conduce il comunismo: a morte e distruzione[10]. Nessuna compatibilità può esistere tra cristianesimo e marxismo, o si è cristiani o si è marxisti! Il marxismo viene visto come uno degli esiti della modernità, ma non è il solo.

Nell’analizzare lo sviluppo della speranza cristiana nel corso della storia in relazione allo sviluppo della civiltà occidentale, Papa Ratzinger nota che si è sviluppata in Occidente un’idea secolarizzata del cristianesimo -  tremendamente falsa e fuorviante - secondo la quale il messaggio di Gesù ha una destinazione puramente individuale e mira solo alla salvezza del singolo.  Tale idea è non solo completamente estranea al cristianesimo a partire già dalle sue origini[11], in quanto, sia nel monachesimo agostiniano che in quello di Benedetto, per non parlare poi delle comunità primitive dell’era apostolica, la dimensione intersoggettiva della speranza e della stessa fede cristiana veniva esaltata dalla comunanza del lavoro che accompagnava la preghiera. E il lavoro veniva inteso come lode a Dio, ma, anche, come apertura all’uomo e alle sue problematiche. Tale idea determina, inoltre, un’auto comprensione del cristianesimo estremamente pericolosa perché secolarizzante. In più, la speranza cristiana possiede in sé anche una dimensione di escatologia presentificata che le è connaturata e che ne è un elemento inscindibile, senza il quale si rischia di perdere la comprensione della autenticità del messaggio cristiano. Dice difatti il papa a questo proposito “questa visione della vita beata orientata verso la comunità ha di mira, sì, qualcosa al di là del mondo presente, ma proprio così ha a che fare con la edificazione del mondo – in forme molto diverse, secondo il contesto storico e le possibilità da esso offerte o escluse”[12] di questa stessa speranza.  Il nucleo autentico del cristianesimo non è dunque affatto individualista, ma possiede in sé la dimensione intersoggettiva come costitutiva della sua stessa essenza. Invece, è invalso l’uso di concepire il cristianesimo come qualcosa di esclusivamente individuale che tutt’al più può sopravvivere nella sola, sfera del privato. Ma “come ha potuto – si chiede il Papa – svilupparsi l’idea che il messaggio di Gesù sia strettamente individualistico e miri alla salvezza del singolo?”[13], e quindi di una “fuga davanti alla responsabilità per l’insieme”[14].

 E’ stata la rivoluzione scientifica, analizzata dal Papa attraverso la filosofia di Francesco Bacone, aprodurre non solo questo slittamento della dimensione cristiana, ma anche a sostituire al cristianesimo la fede nella scienza, capace lei sola di edificare il paradiso in terra; una scienza che nulla ha a da chiedere a Dio, e che da sola costruisce questo mondo. E tutto ciò si basa su di una nuova correlazione tra esperimento e metodologia, tra teoria scientifica e prassi tecnica. Successivamente “ciò viene applicato anche alla teologicamente: questa nuova correlazione tra scienza e prassi significherebbe che il dominio sulla creazione, dato da Dio all’uomo e perso nel peccato originale, verrebbe ristabilito”[15] dallo sviluppo della scienza, dal progresso scientifico. Ed ecco avvenuto il ribaltamento. L’uomo non attende più dal suo Signore la redenzione della sua condizione umana deturpata dal peccato, ma dalla scienza che, sostituitasi alla fede, ristabilisce, lei sola, “il paradiso perduto[16]. La fede qui non è ancora negata ma spostata ad un livello altro, quello appunto dell’interiorità, della vita privata, del mondo dei sentimenti; ridottasi oramai a qualcosa di estremamente irrilevante, come afferma chiaramente il pontefice. Questo programma della modernità ha determinato l’attuale crisi della fede, definendone anche l’esito; l’uomo ha dunque una nuova fede: la fede nel progresso, ed una nuova speranza: quella di realizzare tramite la scienza e il suo potere la società umana in cui ragione e libertà si dispieghino pienamente[17]. Ecco perché l’ulteriore passo viene identificato giustamente dal Papa con l’Illuminismo e le rivoluzioni, quella francese prima e quella comunista poi.  Non si tratta affatto di una critica alla scienza e la tecnica intese come possibilità di miglioramento della vita dell’uomo, ma delle pretese auto - fondative della scienza e della tecnica che hanno condotto l’uomo europeo a cancellare le radici costitutive del suo stesso essere e del suo destino. “C’è innanzitutto la Rivoluzione francese come tentativo di instaurare il dominio della ragione e della libertà ora in modo anche politicamente reale”[18] e, successivamente, la rivoluzione comunista auspicata e preparata dal Marx stesso. Essa è stata possibile poiché, come chiaramente sottolinea il pontefice “essendosi dileguata la verità dell’aldilà, si sarebbe ormai trattato di stabilire la verità dell’al di qua. La critica del cielo si trasforma in critica della terra, la critica del della teologia nella critica della politica”[19]. Ma con questo siamo tornati al cuore del problema poiché con la vittoria del comunismo “si è reso evidente anche l’errore fondamentale di Marx”[20], l’aver dimenticato cioè che l’uomo desidera la sua libertà e la desidera in modo imperioso, anche la libertà di peccare, errare e sbagliare, cioè la sua libertà d’essere uomo. “Egli ha dimenticato – dice il Papa – che l’uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà” [21]. La realizzazione del marxismo ha quindi significato il suicidio della stessa rivoluzione volendo usare una formula di Augusto del Noce titolo di un suo importantissimo e profetico saggio del 1978 [22].

 

 

 

3.2 I luoghi della speranza

 

L’enciclica, ovviamente, non si riduce solo a questo, ma, fissati in modo chiaro questi punti, il cristiano può riaprirsi finalmente alla speranza. Infatti, non basta la critica dei fondamenti della modernità e la piena comprensione del suo sviluppo, perché il cristianesimo sia in grado di conservare la fede; “bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso dalle proprie radici”[23]; il Papa dice di ripartire “dalle proprie radici”, ovvero, dal kerigma, non da qualcos’altro. Anzi, dalla propria radice che è Cristo.  Una volta riaperta la porta del proprio essere all’irrompere della speranza, cioè una volta assodato che “un Regno di Dio realizzato senza Dio – un Regno quindi dell’uomo solo – si risolve irrimediabilmente nella fine perversa di tutte le cose”[24], ci si chiede: “qual è il vero volto della speranza?”. Credere che Dio è la risposta che l’uomo cerca al suo interrogare. Poiché l’esistere si costruisce all’interno di tutta una serie di strutture il Papa ricorda che le strutture sono strumenti e non gli assoluti, e ricorda che ogni generazione non può essere imprigionata nelle strutture create dalle generazioni precedenti, ma in virtù della sua libertà, l’uomo di volta in volta ne vuole disporre nella sua libertà. Questo è impossibile nei totalitarismi in quanto la struttura diviene la realizzazione storica dell’utopia e per questo diviene intoccabile; non è un caso, infatti, che tutte le rivoluzioni marxiste, e non, hanno poi realizzato società ingessate. Al contrario, l’uomo è fondamentalmente e costitutivamente “libertà” che “deve sempre di nuovo essere conquistata per il bene[25] a causa della natura dell’uomo corrotta dal peccato. La presentificazione del Regno di Dio o, come grida il Battista, facendo eco alle parole del profeta Isaia,  il preparare “ una via al Signore che viene”, ha da realizzarsi nella vita del cristiano come suo compito etico coadiuvato dalla grazia, ma “la vita – dice il papa – nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione[26]. Essa implica cioè una vita vissuta e una vita vissuta è una vita in relazione con l’Altro per eccellenza e con gli altri; tuttavia una vita in relazione con l’altro, nella relazione fondativa che è il Vangelo, diventa costruzione del Regno di Dio, cioè preparazione all’avvento definitivo. Non che l’uomo costruisca da sé il Regno – si ricadrebbe così nell’utopia con tutto ciò di negativo che essa comporta -  ma l’uomo aperto a Colui che viene, cioè l’uomo che spera nella speranza cristiana, è un costruttore di pace. Dice giustamente Benedetto XVI che solo una libertà aperta all’amore di Dio diviene tale, poiché “amare Dio richiede libertà interiore di fronte ad ogni possesso e a tutte le cose materiali: l’amore di Dio si rivela nella responsabilità per l’altro[27].

La speranza cristiana perché rimanga viva necessita di essere alimentata, ecco perché i numeri conclusivi dell’enciclica sono dedicati ai luoghi della speranza. Il papa ne identifica quattro: 1) la preghiera come suola della speranza; 2) la storia umana intesa come agire e soffrire; 3) il Giudizio e infine 4) la Madonna vista come annuncio del tempo nuovo, stella della speranza, appunto.

Qualcuno potrebbe pensare di trovarsi di fronte alla solita omiletica cattolica, e pensando questo già penserebbe all’interno delle critiche che l’Illuminismo iconoclasta e un certo cattolicesimo secolarizzato muovono al cattolicesimo autentico[28], e quindi si già trova radicato nel torrente impetuoso della secolarizzazione che tutto trascina con sé nella sua folle corsa verso il nulla. Gli consigliamo vivamente di oltrepassare questo pre-giudizio, che la battaglia del nostro tempo smaschera come pregiudizio negativo e quindi impediente la comprensione vera e profonda della posta in gioco. Gli consigliamo di muovere da un’altra situazione esistentiva, quella nuova che vede questa ultima enciclica del Papa come la chiave di lettura per la comprensione sia del presente che del prossimo secolo.

Detto questo veniamo brevemente all’analisi dei luoghi della speranza.

Non è qui il caso di dilungarci sulla natura ontologica della preghiera, sul suo mistero profondo e sulla sua dirompete natura escatologica, di una escatologia presentificata, ovviamente. Qui diremo solamente, facendo eco a ciò che nell’enciclica dice il Papa, che la preghiera nel cristianesimo va intesa nella sua duplice dimensione ecclesiale ed esistenziale, cioè liturgica e personale. Entrambe svolgono una funzione di rinnovamento della vita del cristiano aprendolo alla speranza[29]. Questo esercizio della preghiera rivela e fa scoprire al cristiano la dimensione ecclesiale del pregare, poiché pregando si alimenta la speranza che nella preghiera si scopre come “speranza per gli altri[30].

Accanto alla preghiera il Papa indica l’agire dell’uomo quale secondo luogo dove si manifesta e si alimenta la speranza cristiana. In che senso? Benedetto XVI lo dice chiaramente: “ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto[31]. Nel senso che agire è sempre rispondere  alle problematiche, ai drammi ai desideri, alle intenzioni che premono in noi; ma, la speranza, spesso frustrata dalle vicende vissute, può continuare ad esistere solo se non viene meno il suo nocciolo profondo che è quello di poter sperare contro e oltre ogni speranza; in fondo, è la speranza di poter sperare che alimenta la nostra speranza, cioè la speranza – intesa come sottile certezza motivata dalla fede – che sfonda l’orizzonte delle nostre quotidiane speranze; la speranza che viene a me e che da me ritorna al luogo dove essa è a me venuta, ovvero a Cristo inteso come nostra speranza. Perciò dice il Papa: “Il Regno di Dio è un dono, e proprio per questo è grande e bello e costituisce la risposta alla speranza”[32]. Tutti abbiamo sott’occhi che l’agire umano è intriso di sofferenza, il cristiano non la cerca, perché il cristianesimo non è masochismo, ma avendola già attraversata Cristo, ed essendone tornato come il “Risorto”, sa che va fatto il possibile per eliminarla, ma sa anche che essa accompagnerà sempre il cammino dell’uomo fino all’avvento del Regno di Dio[33]. La novità assoluta della speranza cristiana risiede nella convinzione che il potere del male, che mina l’agire dell’uomo inficiandone l’esito assolutamente positivo, può essere vinto definitivamente da Dio, anzi già lo è stato. Essa, perciò, risiede nella fede che Dio può guarire il mondo. Il cristiano non fugge il dolore ma lo attraversa con Cristo e in Cristo, certo che la via del dolore diviene via di vittoria sul dolore e la morte; certo che con Cristo gli inferi sono spezzati e rotti sono i suoi ceppi. Concretamente, ciò significa consolare il dolore dell’uomo, come dice il Signore per bocca del profeta Isaia: “Consolate, consolate il mio popolo[34]. Il Papa intende questa consolazione come missione specifica del cristiano; la consolazione, poi,  è possibile solo se si possiede la speranza che non muore, la speranza aperta alla vita e perciò contaminante la vita dell’altro. Qui la consolazione è intesa come con-solatio, cioè come farsi carico della solitudine di chi non ha speranza, poiché l’assenza di speranza isola e allontana l’uomo dalla vita[35] per portare l’altro oltre il proprio isolamento verso la speranza stessa..

Anche se l’intento prioritario del Papa è quello di sottolineare il Giudizio quale luogo della speranza[36]. Il terzo luogo della speranza, ripropone, tra l’altro, come avevamo già accennato in apertura, anche la questione del superamento di una lettura secolarizzante del cristianesimo che emergeva da una certa ermeneutica del concilio; ermeneutica della quale il papa qui ne ripropone l’improponibilità.

 L’affermare, infatti, l’importanza per il cristiano della riflessione intorno al Giudizio di Dio sull’operare dell’uomo quale luogo di alimentazione della speranza che si fonda sulla fede, ripropone non solo uno dei temi essenziali del cristianesimo delle origini, ma stronca le gambe ad ogni possibile interpretazione sociologica e non – cristiana del cristianesimo stesso; quella errata interpretazione, vale a dire, che una certa teologia cattolica ha proposto negli ultimi quaranta anni. Il rischio insito in tale ermeneutica è quello di avvicinare troppo il cristianesimo alle critiche secolari che vengono mosse alla fede, ovvero quello della privatizzazione della fede[37]. La modernità, in più, partendo dalla constatazione della presenza del male nel mondo, che è poi l’antico problema della teodicea: “Si Deus est unde malum?”, muove accuse a Dio – cosa questa che il Papa ammette possibile e comprende – ma poi giunge all’assurdo che in tal caso spetta all’uomo decidere la misura della giustizia.  “Poiché non c’è un Dio che crea la giustizia, sembra che l’uomo stesso ora sia chiamato a stabilire la giustizia”[38]. Proprio questo annulla ed esclude la speranza nel mondo[39], la misura della legge non spetta all’uomo ma a Dio. È l’antica diatriba che opponeva Socrate e Platone a Protagora e ai sofisti, chi fosse cioè la misura delle cose se l’uomo o Dio. Nessuno ci può liberare dal cinismo del potere se non Dio, afferma Benedetto XVI. Il metro della Giustizia sta proprio nella risurrezione della carne di cui il Cristo diviene il primogenito e la testimonianza fedele, nonché l’immagine autentica.

L’altra questione, che nasce dalla secolarizzazione del Giudizio finale, riduce il cristianesimo all’ateismo, perché produce una perdita della fede del cristianesimo stesso per cui il cristianesimo diventerebbe una della tante ricette esistenziali del nostro tempo, privato appunto della sua dimensione ultraterrena e divina.

Questo rischio insito nell’ermeneutica relativistica, contro cui implicitamente con la riaffermazione della centralità del Giudizio si confronta il Papa, è proprio quello della apocatastasi[40] strisciante che tale ermeneutica comporta. E lo è come conseguenza della estremizzazione della questione della teodicea. Infatti, l’allontanamento di questo tema dalla riflessione teologica operato da una certa teologia postconciliare, in fondo non fa che relativizzare la dirompenza del cristianesimo stesso secolarizzandolo e inscrivendo tutto l’agire umano nell’apocatastasi finale, ovvero nella giustificazione del male stesso operata alla fine dei tempi, come se le parabole del Vangelo in cui Gesù parla del Giudizio non fossero di Gesù. Assurdo logico in cui incorre tale ermeneutica! Questo riporre al centro dell’attenzione del fedele il Giudizio finale quale argomento di fede e quale luogo della speranza, invece, richiama da una parte il cristiano e l’uomo alla responsabilità delle sue azioni e alla cura del presente e, dall’altra, fondandosi su Cristo Giudice, riafferma la copresenza in Dio di una Giustizia accanto alla Misericordia. Così facendo ridona la speranza al cristiano di fronte ai mali nel mondo e al male del mondo. In più, proprio l’essere Grazia di Dio, Grazia includente la Giustizia, non annulla e non cambia il male compiuto dall’uomo liberamente e fino alla fine perseguito[41]. Afferma, infatti, Benedetto XVI: “questo sguardo in avanti ha conferito al cristianesimo la sua importanza per il presente”[42]. Personalmente, ritengo che questo sia uno dei temi centrali dell’enciclica perché attacca uno dei capisaldi del permissivismo moderno: la certezza dell’assenza del Giudizio sul proprio operato. Da ciò deriva il carattere psicologico dell‘impunità che contrassegna la psicologia dei giovani e dell’uomo dei nostri tempi. La nostra speranza si fonda sul fatto che il Giudizio è proprio il Volto di Cristo dinanzi al quale si svelerà la nostra nudità, “il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende a noi irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta circa la giustizia – domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura”[43].

Ultimo luogo della speranza è Maria, non solo in quanto modello della speranza, - e in ciò il Papa è pienamente nella tradizione cattolica di cui una delle vette fu il suo predecessore Giovanni Paolo II – ma anche perché Maria si presenta nella storia come l’ultimo profeta prima della seconda venuta del Messia. Lei è la via dell’incarnazione della speranza.

 

 



[1] Va subito chiarito un punto, e cioè che il termine laico indica il fedele, battezzato non ordinato, cioè non diacono, né presbitero, né vescovo, e non come in genere si ritiene “il non credente”. Rifiutiamo questo significato pur in voga, ma frutto di un fraintendimento, in quanto si fonda su di una falsa identificazione della chiesa con il clero.

[2]  Esistenza va intesa come exixtenz, cioè come coesse, nel senso di superamento di ogni individualismo e di apertura verso l’altro, inteso come costitutivo e non accidentale all’essere dell’Esserci.

[3]  Questo punto verrà approfondito alla fine dell’articolo.

[4] La vita della chiesa si fonda su tre pilastri, Traditio: le Sacre Scritture, La Tradizione dei Padri della Chiesa e degli scrittori ecclesiastici e il Magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con il Papa.

[5]  Benedetto XVI, Spe Salvi, 1, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2007.

[6] Spe salvi, 2

[7] Nel senso di rendere presente, attuale, vitale all’interno del proprio esistere la potenza vitale del cristianesimo che consiste nella persona di Cristo risorto.

[8] Ernst Bloch, Karl Marx, Editori Riuniti, 1968.  Tale lettura atea del cristianesimo e quindi secolarizzante che caratterizza il pensiero di Ernst Bloch, secondo la quale speranza ed utopia sono elementi costitutivi dell’essere umano e perciò se ne dave dare una lettura puramente immanente sono espressi con chiarezza soprattutto ne  Il principio speranza [1954-1959], 3 voll, Garzanti, Milano, 1994.  Qui, tra l’altro, si trova espresso il principio secondo cui il marxismo, attraverso la rivoluzione, realizza le promesse escatologiche mancate dal cristianesimo. Il Papa si confronta proprio con questa lettura marxista del cristianesimo, e lo fa in modo particolare quando parla della necessità di una autocritica del cristianesimo stesso. Questa lettura marxistizzante del cristianesimo è stata operata in Italia da Rossetti e dal suo pensiero determinando quel fenomeno che in gergo si chiama appunto “cattocomunismo”.

[9] Il concetto di “corruzione” di cui parla Rousseau viene letto da Marx a partire dall’eredità hegeliana, e perciò nella sua filosofia diventa  ”alienazione”. Il grado massimo della alienazione si realizza, secondo Marx, nell’operaio che redento dalla rivoluzione redimerà tutta l’umanità.

[10]  A conferma di quanto scritto si rimanda ai punti 20, 21 della Spe Salvi.

[11] E’ lo stesso Papa a dimostrarlo nei numeri che vanno da 13 a 15 della Spe Salvi.

[12] Spe Salvi 15.

[13] Spe Salvi 16.

[14] Spe Salvi 16.

[15] Spe Salvi16.

[16]E dunque dal nuovo“collegamento appena scoperto tra scienza e prassi”.   Spe Salvi 17.

[17] Cfr. Spe Salvi 17. Questo spostamento produce la crisi della fede cristiana che secondo il pontefice si presenta oggi come “una crisi della speranza cristiana” , ivi 17.

[18] Spe Salvi, 19.

[19] Spe Salvi,20.

[20] Spe Salvi, 21.

[21] Spe Salvi, 21.

[22] Augusto del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Milano, 1978.

[23] Spe Salvi, 22.

[24] Spe Salvi, 23.

[25] Spe Salvi, 24.

[26] Spe salvi 27.

[27] Citazione di Benedetto XVI dei Capitoli sulla carità, Centuria 1, cap. 1: PG 90,965.

[28] Quello di cui il Papa Benedetto XVI è portatore.

[29]Affinché la preghiera sviluppi questa forza purificatrice, essa deve, da una parte, essere molto personale, un confronto del mio io con Dio, con il Dio vivente. Dall’altra, tuttavia, essa deve essere sempre di nuovo guidata ed illuminata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei santi, dalla preghiera liturgica, nella quale il. Signore ci insegna continuamente a pregare nel modo giusto Spe Salvi, 34.

[30] Spe Salvi, 34.

[31]  Spe Salvi, 35.

[32] Spe Salvi, 35.

[33]S ì dobbiamo fare di tutto per superare la sofferenza, ma eliminarla completamente dal mondo non sta nelle proprie possibilità –semplicemente perché non possiamo scuoterci di dosso la nostra finitezza e perché nessuno di noi è in grado diu eliminare il potere del male, della colpa che – lo vediamo – è continuamente fonte di sofferenza.”.              Spe Salvi 37.

[34] Is 40,1.

[35] Cfr. Spe Salvi 38.

[36] “la prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio”. Spe Salvi. 41.

[37] “Nell’epoca moderna il pensiero del Giudizio finale sbiadisce: la fede cristiana viene individualizzata ed è orientata soprattutto verso la salvezza dell’anima” Spe Salvi42.

l’ateismo del XIX secolo e del XX secolo è, secondo le sue radici e la sua finalità, un moralismo: una protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale” Spe Salvi, 42.

[38] Spe Salvi, 42.

[39] “Un mondo che si deve creare da sé la giustizia è un mondo senza speranza”, Spe Salvi, 42 poiché tutto è stato già deciso e non vi è più nessun nuovo apporto.

[40] Per apocatastasi, dottrina condannata dalla Chiesa in cui incorse anche lo stesso Origene, si intende quella dottrina teologica secondo la quale alla fine dei tempi tutti gli esseri torneranno alla condizione felice delle origini, con la cancellazione del male e della condanna. Va da sé che questa concezione abolisce la Giustizia di Dio visto che chi compie volutamente il male e persegue in questo atteggiamento fino alla fine non vie condannato per il male compiuto. Il che è assurdo ed incompatibile con il concetto della giustizia divina che non elimina ma comprende in sé la stessa misericordia. Come dice il Qoelet c’è un tempo per ogni cosa, un tempo per la misericordia ed un tempo per il giudizio.

[41] “La Grazia non esclude la Giustizia. Non cambia il torto in diritto. Non è una spugna che cancella tutto così che quanto s’è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore”. Spe Salvi,44.

[42] Spe Salvi, 41.

[43] Spe Salvi, 47.