INTERVISTA AL FILOSOFO UMBERTO GALEAZZI

Articolo pubblicatro sulla Rivista Quaerite

 

Ringraziamo innanzitutto il professor Galeazzi[1], filosofo e studioso del pensiero di S. Tommaso d’Aquino, ma anche acuto ed attento conoscitore delle tematiche della filosofia contemporanea, per aver accettato il nostro invito e per la Sua cortese disponibilità a rispondere alle nostre domande. Le chiediamo innanzitutto:

 

 

 

1)     professor Galeazzi, Lei è un esperto del pensiero di S. Tommaso d’Aquino, soprattutto dell’etica tommasiana, ha infatti curato la traduzione e la pubblicazione di alcune Quaestiones allo scopo di far conoscere il pensiero dell’Aquinate al grande pubblico, come per esempio le Questiones che riguardano il grande tema del male e della libertà[2], o quelle sulla felicità[3], o sul peccato[4]. Cosa ritiene possa insegnare S. Tommaso all’uomo secolarizzato del nostro tempo?

  

Risposta: Prima di tutto preciso che riserverei la qualifica di “filosofo” ai classici della filosofia; gli altri sono professori di filosofia, che hanno dato dei contributi più o meno rilevanti alla ricerca.

S. Tommaso d’Aquino ha molto da insegnare agli uomini di oggi sia per i contenuti che per il metodo della ricerca. Ha molto da insegnare ai teologi, che non dovrebbero trascurarlo, ma che, al contrario, dovrebbero studiarlo adeguatamente (come raccomanda anche l’ultimo Concilio, il Vaticano II, in due documenti) per capire l’uomo, anche quello di oggi, e per evitare così un grave depauperamento della teologia.

Ma Tommaso ha molto da insegnare ad ogni persona umana del nostro tempo, che, più o meno consapevolmente, è impegnata, o avverte l’esigenza di impegnarsi nell’ardua e decisiva impresa che ha come meta la verità. Perché l’Aquinate, con la sua ricerca specificamente filosofica, condotta sulla base della comune razionalità, è in grado di dialogare criticamente con ogni uomo, credente o non credente, o che aderisce a qualsiasi convinzione o posizione di pensiero. Il suo genio speculativo può aprire prospettive nuove e liberanti, mettendo in questione posizioni diffuse e propagandate.

Immanuel Kant, come emblema della modernità, ha rivolto all’uomo, nel suo saggio sull’illuminismo, il celebre invito: «Sapere aude. Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza». Ebbene, bisogna riconoscere che, diversi secoli prima di Kant, Tommaso ha esercitato questo coraggiodellaragione.  Per lui l’uomo è caratterizzato specificamente dalla ragione, dalla quale gli derivano la luce e la guida per il suo agire «ciò che è secondo ragione è secondo la natura dell’uomo in quanto uomo» (Summa theol., I-II, q. 71, a. 2). L’Aquinate non è secondo a nessuno nel difendere, di fronte a tentazioni irrazionalistiche o fideistiche, la ragione e le sue prerogative in una visione non parziale dell’esistenza umana, che non la considera scissa in res cogitans e in res extensa. Ma la lezione tommasiana, per chi fosse troppo entusiasta dell’autonomia kantiana, ha da richiamare che la ragione umana (e l’appetito razionale che è la volontà) sarebbe mutila se dimenticasse la sua intenzionalità ontologica, l’apertura all’essere e quindi la sua adesione al bene. Ci si serva, dunque, dell’intelligenza! Ma tenendo presente che non è chiusa autarchicamente in sé, o prigioniera dell’angustia della finitezza, ma è aperta all’Infinito.   

     Qui posso solo invitare a ripercorrere l’affascinante itinerario razionale attraverso cui Tommaso, partendo dalle creature, arriva a riconoscere Dio creatore. La metafisica della creazione caratterizza peculiarmente il suo pensiero, illuminandone i diversi momenti e aspetti. Si consideri, per esempio, la questione antropologica: ogni essere umano, in quanto creato liberamente da Dio, è da Lui voluto e amato (se non l’avesse voluto e amato non l’avrebbe creato) e costituito nella sua intrinseca e inalienabile dignità. È questo il riconoscimento originario sulla cui base si possono e si debbono rispettare e promuovere tutti i diritti umani.

Si consideri, inoltre, la questione fondamentale del fine ultimo che è il principio di tutto l’ordine etico (che Tommaso indaga da par suo nelle Questioni contenute nel libro da Lei citato La felicità). Ogni uomo inevitabilmente ha un fine, che, almeno di fatto, con le sue scelte, vive e considera come supremo e per conseguirlo gli subordina tutto il resto. Ora, giacché spesso non possiamo non scegliere, le posizioni, scettiche, agnostiche o relativistiche possono essere sostenute teoricamente, ma, oltre alla confutazione a cui vanno incontro su questo piano, bisogna riconoscere che nella pratica, nella vita vissuta svaniscono, non sono vivibili. Perché ognuno, scegliendo, pone il valore e il disvalore, almeno implicitamente valuta una realtà come da preferire rispetto ad altre: al di là della teoria le sue scelte manifestano che quella realtà è per lui il bene supremo, il fine ultimo. Si tratta di vedere se merita veramente di essere considerato come tale, se soddisfa il desiderio che ci costituisce o lo delude, se permette di conseguire il pieno adempimento dell’esistenza dell’uomo, oppure se lo conduce al fallimento e al naufragio. Questo è il caso serio della nostra vita. Tommaso fa vedere lucidamente che solo Dio non delude l’uomo, essendo il Sommo Bene e il vero fine ultimo. Ma non vorrei banalizzare in poche battute la ricchezza e il rigore del pensiero tommasiano, devo perciò invitare alla lettura almeno dei libri da lei citati. Mi permetto solo di rinviare a un mio libro (U. GALEAZZI, Tommaso d’Aquino nel pensiero contemporaneo, Aracne ed., Roma 2006), per evidenziare che L’Aquinate è un interlocutore di rilievo nel dibattito filosofico contemporaneo.     

 

 

2)     Da tempo Lei si è anche confrontato con il pensiero contemporaneo, per esempio con il pensiero del filosofo canadese C. Taylor, o con i filosofi della Scuola di Francoforte, riscontrando in alcuni aspetti nichilisti, in altri anche tracce della trascendenza, da dove viene questa contraddizione di fondo del pensiero moderno?

 

Risposta: Il pensiero moderno non è uniforme, è variegato e presenta molteplici direzioni a partire dall’originalità di ogni filosofo. Soprattutto ci tengo a sottolineare che i filosofi moderni e contemporanei, se letti integralmente nelle loro opere, senza tagli selettivi e senza censure, non dicono quello che vorrebbero fargli dire certe ricostruzioni faziose (di cui risentono anche i manuali), che omettono ciò che non è gradito ad un laicismo, il quale invece di argomentare preferisce censurare, come in certe scuole (in cui dovrebbero essere formati i nostri giovani), dove tutto il pensiero medievale è semplicemente ignorato.

Inproposito Augusto DelNoce, la cui lezione andrebbe rimeditata specie nel mondo cattolico, ha messo in discussione l’idea di un processo unitario del pensiero moderno verso l’immanentismo radicale, fino ad arrivare a vedere nella filosofia moderna due irriducibili direzioni di pensiero, l’una da Cartesio a Nietzsche, l’altra da Cartesio a Rosmini, attraverso Pascal, Malebranche e Vico, destinata questa seconda a raggiungere e ad affinare il pensiero metafisico e religioso tradizionale.

Ma stiamo agli autori da lei citati. Bisogna tener conto adeguatamente della posizione di Taylor, il quale sostiene nella sua opera maggiore, Radici dell’io, che c’è un grande motivo di speranza nel teismo giudaico-cristiano e «nella sua promessa centrale di un’affermazione divina dell’umano […] l’originaria nozione cristiana di agápe indicava l’amore che Dio ha per gli uomini, un amore a cui è legata la loro bontà di creature […] Per il tramite della grazia gli esseri umani partecipano a questo amore. Nella frase …del primo capitolo del Genesi – “E Dio vide che era buono” – c’è un’affermazione divina della creatura. L’agápe è inseparabile da questa visione della bontà delle creature».

Quanto a Horkheimer, bisognerebbe superare la censura che porta a misconoscere l’approdo del suo pensiero alla nostalgia del Totalmente Altro, cioè di Dio. Si tratta di un itinerario significativo – e molto istruttivo per l’uomo di oggi –, che lo porta a rovesciare l’umanesimo prometeico degli anni giovanili.

Si pensi anche alle aporie dell’interpretazione crociana e immanentistica di Vico (al cui pensiero ho dedicato un libro). In realtà il filosofo napoletano ha posto, come primo principio della Scienza nuova, la Provvidenza divina, che è la Provvidenza di Dio creatore e, quindi, trascendente, come scrive Vico fin dalla prima pagina del suo capolavoro.

 

 

3)     Professore, a suo parere, qual è la radice di questo nichilismo che impedisce all’uomo del nostro tempo di guardare al futuro schiacciandolo, spesso, in un abisso senza senso?

Risposta: Le componenti che concorrono a dar vita a certi esiti storici sono molteplici e complesse. Qui mi limito ad accennare alle posizioni filosofiche, che hanno contribuito all’affermarsi – in contrasto con l’ethos comune che permane nella gente – presso non pochi intellettuali del nichilismo, inteso come dissoluzione dell’ordine etico, rifiuto dei valori e, quindi, non senso dell’esistenza. L’immoralismo trasgressivo presenta proprio la trasgressione come liberante, ma in realtà rende prigioniero l’uomo di una prospettiva angusta che lo ritiene legato alla mera istintività e da essa determinato nell’agire e nello stesso pensare. Questo immoralismo si trova spesso in simbiosi con il relativismo, posizione teorica in realtà invivibile, come si è detto sopra, ma funzionale alla corrosione, alla crisi e alla dissoluzione dell’ordine morale, osteggiato e calunniato da una strategia, che pretende di essere illuminata, ma che in realtà è miope, poiché conduce alla disumanizzazione. Come dimostra – per chi la vuol vedere senza paraocchi ideologici – la storia del Novecento e la cronaca dei nostri giorni. C’è, poi lo scientismo, posizione filosofica diffusa specie nel mondo anglosassone, che considera il sapere scientifico come l’unico tipo di sapere valido, in tal modo abbandonando all’arbitrio irrazionale le scelte più importanti dell’esistenza, su cui le scienze empiriche non sono in grado di dire niente. In tal modo la crescente razionalizzazione dei mezzi lascia la scelta dei fini – decisivi e potenzialmente esiziali – in balìa della più completa irrazionalità. Ma quello che forse ha le maggiori responsabilità per la diffusione dell’esito nichilistico è l’umanesimoprometeico, o ateo, di matrice marxiana,soprattutto in quanto ha sostenuto e praticato un messianismo secolarizzato, implicante la risoluzione-dissoluzione dell’etica nella politica. Non a caso, in questa posizione, come del resto nelle altre di cui si è detto, il nichilismo è legato all’ateismo. Questo umanesimo ateo ha lanciato ai credenti una sfida decisiva: noi costruiremo una società perfetta, proprio in quanto atea, che eliminerà alla radice la religione, producendo una sorta di paradiso in terra. Questo progetto è stato messo in atto, perciò il Novecento è un secolo filosofico, come dice Del Noce, perché si è attuato il tentativo di mettere in pratica idee filosofiche, andando incontro alle dure smentite della storia. Un esito assai istruttivo che dovrebbe far riflettere, invece di essere dimenticato. Infatti, all’opposto del progetto palingenetico, la costruzione di quella società atea ha comportato costi umani molto elevati, dimensioni gravissime e inaudite di barbarie: invece della società perfetta dall’esperimento è scaturita la patria della disumanizzazione. Sicché non è semplicemente crollato un muro, ma tutta una visione dell’uomo, della società e della storia. Per una filosofia che aveva posto nella verifica storica il criterio di verità, la confutazione è clamorosa e ineludibile. Ciò che doveva confutare la religione è stato confutato e non si può far finta che non sia successo niente, è razionale trarne tutte le conseguenze: se il tentativo di confutazione e di eliminazione è fallito, ciò che si intendeva confutare ed eliminare (la religione, il cristianesimo) risulta corroborato.      

Anche per questo preoccupa e addolora il complesso di inferiorità, presente in certi settori del mondo cattolico, che conduce a mutuare dalla mentalità “laica” (in realtà laicista, cioè atea) criteri di giudizio, gerarchie di valori, obbiettivi della prassi, dimenticando la propria identità, connotata prioritariamente dall’adorazione del Dio vivente (cfr. Mt 22, 34-40). In genere si ignora o comunque non si tiene conto (anche da parte di chi dovrebbe guidare gli altri) della strategia gramsciana, tuttora praticata, mirante a creare un nuovo senso comune, opposto a quello che ha le sue radici nel cristianesimo. «Il moderno Principe – scrive Gramsci, così chiamando il partito comunista – sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità e dell’imperativo categorico…» (Quaderni dal carcere). È il sovvertimento radicale dell’ordine morale.

 

4)     In alcuni Autori contemporanei, come la Stein, Taylor, Fabro, solo per citarne alcuni, Lei riscontra invece un forte legame col pensiero e la lezione di S. Tommaso. Da dove viene questa comunanza tra autori così lontani temporalmente tra loro?

 

Risposta: Come lei dice, se ne potrebbero citare tanti altri: da Maritain a Rosmini, da Guardini a MacIntyre, ecc.

Questa comunanza tra diversi autori viene dal fascino della verità e del bene, nella cui ricerca è di grande aiuto il genio speculativo dell’Aquinate. In proposito è illuminante un passo di Edith Stein, figura mobilissima di donna, di pensatrice e di religiosa carmelitana, purtroppo poco conosciuta, che si erge nella storia del Novecento come perseguitata e martire ad Auschwitz della barbarie nazista. La Stein, che aveva avuto una formazione fenomenologica, in quanto allieva e poi collaboratrice di Husserl, scrive: «il tomismo non è uscito dalla mente del suo maestro come un sistema già compiuto di concetti; sappiamo che è una vivente creazione dello spirito, di cui possiamo seguire la formazione e la crescita. Esso richiede d’essere assimilato da noi e di ritrovare in noi una nuova vita. Si sa che i grandi pensatori del Medioevo cristiano hanno discusso, vagliando con cura, intorno ai medesimi problemi che ancora ci interessano, e che essi hanno da dirci molte cose che possono esserci di aiuto».

 

5)     Uno dei punti critici della modernità è proprio ciò di cui essa si vanta: La centralità del soggetto, quella che Lei, con un’espressione di Adorno, definisce la “svolta soggettivista della modernità”. Eppure, è proprio il pensiero moderno ad essere erede di quello medievale, Medioevo che aveva fatta propria l’intuizione cristiana della unicità e irripetibilità della persona umana. In che termini una rinnovata filosofia della persona potrebbe arginare la deriva nichilista del nostro tempo ed aprire orizzonti nuovi all’Occidente?

 

Risposta: In quanto il soggetto pretende di essere il fondamento del sapere, tradendo la sua intenzionalità ontologica, cioè la sua vocazione a lasciar manifestare la verità dell’essere, fino ad arrivare alla pretesa della propria assolutizzazione, apre una via che conduce ad un risultato opposto al suo intento originario: la disumanizzazione. Di cui sopra si è detto qualcosa. Invece una rinnovata filosofia della persona, che tenga conto primariamente della sua dimensione creaturale, può essere liberante e foriera di un’autentica crescita umana.

La persona ha bisogno di riconoscimento, cioè di essere riconosciuta e accolta nella propria originalità irrepetibile come un essere che ha una dignità ed esige rispetto, è il bisogno di sapere di aver valore almeno per qualcuno. Questo rispetto è dovuto sia sul piano dei rapporti interpersonali che su quello socio-politico, implicando la difesa e la promozione dei diritti di ogni essere umano. Ma non si può eludere una situazione aporetica che si produce riguardo al fondamento della dignità umana, se la si fa dipendere totalmente dal riconoscimento degli altri uomini, ovvero dal riconoscimento sociale. Se fosse vero che la dignità umana dipende dal riconoscimento sociale, allora si dovrebbe dire che dove non c’è quel riconoscimento non c’è nemmeno la dignità umana, ma ciò sembra assurdo. Infatti noi rivendichiamo questa dignità proprio dove e quando essa è misconosciuta, cioè dove e quando non c’è riconoscimento sociale. Evidentemente ciò è possibile sulla base di un riconoscimento più radicale – non insidiato dalla precarietà e mutevolezza del riconoscimento sociale –, cioè di quel riconoscimento originario con cui Dio, nella generosità del suo amore e del suo disegno creatore, dona l’essere all’uomo, costituendolo nella sua intrinseca dignità.                           

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[1] UMBERTO GALEAZZI insegna “Storia della filosofia” presso l’Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Pescara – Chieti. È accademico ordinario della Pontificia Accademia S. Tommaso d’Aquino. Ha tenuto corsi su Aristotele, Tommaso d'Aquino, Cartesio, Pascal, Locke, Vico, Kant, Hegel, Marx, Rosmini, Nietzsche, Husserl, Edith Stein, R. Guardini, J. Maritain, J.P. Sartre, M. Horkheimer, Th.W. Adorno, H. Marcuse, A. Mac Intere, Ch. Taylor, ecc. ha fatto parte del Collegio dei Docenti del Dottorato di ricerca delle Università consorziate di Lecce e di Chieti su “Etica e antropologia, storia e fondazione”. Attualmente fa parte del Collegio dei Docenti del Dottorato di ricerca in Filosofia dell’Università di Chieti. Dal 1999 al 2004 è stato Presidente del Consiglio del Corso di Laurea in Filosofia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Chieti. Ha insegnato “Antropologia filosofica” nella Facoltà di Scienze psicologiche dell’Università di Chieti negli anni accademici 2001- 2002 e 2002- 2003 e l’insegnamento di “Filosofia morale” nella stessa Facoltà. È socio della Società Internazionale Tommaso d’Aquino, della Società Italiana di Storia della Filosofia e Accademico Ordinario della Pontificia Academia Sancti Thomae Aquinatis. Curriculum Scientifico Sintetico. La produzione scientifica di Umberto Galeazzi si è mossa secondo i seguenti principali filoni di ricerca: Il pensiero (in particolare quello specificamente filosofico) dei padri fondatori della Scuola di Francoforte: M. HORKHEIMER, TH. W. ADORNO, H. MARCUSE, con particolare attenzione al loro dialogo critico con il pensiero moderno e contemporaneo (CARTESIO, KANT, HEGEL, MARX, HUSSERL.  L’indagine sul pensiero di KANT sia sotto il profilo della ragion pura che della ragion pratica, attraverso la discussione con i principali filoni interpretativi e con l’impegno per una valutazione teoretica dei punti nodali del criticismo. La filosofia di G. B. VICO nel contesto della filosofia del suo tempo e nel dialogo critico specialmente con il pensiero di Cartesio, nella discussione delle interpretazioni vichiane a partire da quella di Benedetto Croce fino ai nostri giorni. La filosofia di TOMMASO D’AQUINO in particolare la sua concezione antropologica ed etica, attraverso la discussione delle interpretazioni e dei fraintendimenti presenti nel pensiero contemporaneo, sulla base dei testi dell’Aquinate, alcuni dei quali (come le Questioni disputate, opera fondamentale del magistero parigino) sono stati tradotti, introdotti e curati per favorirne la conoscenza nell’attuale contesto culturale. Il pensiero di CHARLES TAYLOR nel dibattito tra liberali e comunitaristi, nonché tra filosofia anglosassone e continentale, con particolare attenzione all’analisi del disagio della modernità, alla ricostruzione dell’identità moderna e lavoro di “recupero” di fondamentali ideali morali. Questioni di fondazione dell’etica e di bioetica nel dibattito attuale.

 

 

[2] Tommaso d’Aquino, Il male e la libertà, Questioni disputate sul male (Questioni I-III, IV), BUR, Rizzoli, Milano, 2002.

[3] Tommaso, La Felicità (Summa theologiae, I –II , Questioni, I – V), Bompiani, Milano, 2010.

[4] Tommaso, d’Aquino, I vizi capitali, da Le Questioni disputate sul male (Questioni VIII-XV), BUR, Rizzoli, Milano, 1996.