Edith Stein - COMMENTO AL CASTELLO INTERIORE di S. Teresa d’Avila

 

 

 

L’opera Essere finito essere Eterno prevedeva, secondo le intenzioni dell’Autrice, due Appendici, una era l’analisi del Castello Interiore di S. Teresa d’Avila mentre l’altra era intitolata La filosofia esistenziale di Martin Heidegger.

L’idea di Edith Stein era questa: non solo vedere nel Castello Interiore una conferma alle proprie teorie ma, mettendo a confronto da una parte il Castello Interiore e dall’altra il Saggio di Heidegger, dimostrare che riguardo alla struttura dell’anima ne aveva capito più S. Teresa che Heidegger stesso.

Infatti, l’Appendice su Heidegger è una critica profonda degli esiti di “Essere e tempo”, opera fondamentale del filosofo tedesco, perché tali esiti portano al nichilismo, mentre S. Teresa, pur nella sua limitata cultura, riesce a descrivere meglio e più profondamente quale sia struttura dell’anima.

L’IO PURO, in fenomenologia, va inteso come quell’elemento che rende vivo ogni istante dell’unità di vissuto e che si apre al passato e al futuro; esso è la coscienza che si muove in uno spazio che è l’anima. Quindi secondo E. Stein l’anima è uno spazio strutturato dove si muove l’io. Abbiamo detto però che è uno spazio strutturato ed E. Stein accetta la strutturazione che ne fa S. Teresa nel Castello Interiore. La prima parte di questo scritto è un’interpretazione propria dell’opera di S. Teresa, la seconda parte del castello dell’anima di E. Stein è un confronto della teoria si S. Teresa con la filosofia moderna.

Quest’anima, dove l’io si muove, è raffigurata e paragonata ad un castello che ha molte stanze o mansioni. Il corpo rappresenta le mura, i sensi e le cosiddette potenze spirituali (memoria, intelletto, volontà) alcune volte sono viste come i custodi del castello, come gli abitanti del castello o come i vassalli del castello. Queste mansioni sono pensate come stanze comunicanti e sono tra loro collegate e sono 7. Al di fuori delle mura (del corpo) si estende il mondo esterno. Al centro vi abita Dio. Quindi tra il mondo esterno e Dio ci sono queste 7 stanze e la settima stanza è nel Cantico dei Cantici chiamata “la cella vinaria”. Gli abitanti che stanno fuori le mura o nei pressi del castello non sanno ciò che avviene all’interno. Quindi è come se l’io (abitante) stesse al di fuori della sua anima (diremo: è alienato). Il paradosso secondo E. Stein si esprime in quella strana condizione patologica, ossia quelle anime che perché prese dalle cure delle cose esterne non conoscono la propria casa; quindi: è come se l’io non conoscesse nemmeno la sua vita interiore. Queste anime hanno disimparato a pregare.

Qual è la porta per entrare nel castello? La preghiera e la meditazione, ma nella tradizione carmelitana si intende per preghiera il dialogo con Colui che so che mi ama, ovvero, si intende una relazione interpersonale fra l’anima e Dio per cui io so con chi parlo. E’ una relazione agapica, d’amore con il Creatore.

 

1.a stanza = conoscenza di sé. E’ il primo momento, risultato della vita di orazione, ed è la porta del Castello. Non si possono alzare gli occhi a Dio se non si è consapevoli della propria bassezza. Quindi, la conoscenza di Dio e di sé si susseguono a vicenda. Riconoscendo la propria umana miseria ci si avvicina sempre di più a Dio. Per contro, noi non possiamo conoscere noi stessi se non conosciamo la grandezza di Dio. In questa prima stanza, che è molto lontana dalla settima, dove Dio risiede, non arriva la luce della 7° stanza, o meglio, l’anima non la riconosce perché è come se avesse gli occhi annebbiati.

 

2.a stanza. È caratterizzata dal fatto che dentro questa stanza l’anima percepisce già alcuni richiami di Dio, cioè appelli che vengono dall’esterno, ma che sono interventi di Dio attraverso la storia. Quali sono? Un’omelia, una malattia, un passo di un libro, oppure altre situazioni esistenziali (per esempio un episodio che contribuisce alla conversione di E. Stein è stato il modo in cui la vedova di Reinaich ha accettato cristianamente la morte del marito in guerra).

Tutte queste situazioni sono richiami di Dio. L’anima però, nella seconda mansione, vive ancora nel mondo e per il mondo. È pienamente inserita in questo contesto, ma i richiami la invitano a rientrare in se stessa. La vita mistica è un modo di vivere nel mondo cristianamente.

 

3.a stanza. Nella terza mansione si trovano le anime che hanno preso a cuore le chiamate di Dio e costantemente cercano di indirizzare la propria vita a Dio. In questa fase la protagonista è l’anima, quella che S. Giovanni della Croce chiama notte attiva dell’anima, cioè quella il cui risultato dipende essenzialmente dalla volontà della creatura. Ovvero dalla partecipazione della libera volontà della creatura al progetto di Dio. Qui le anime si guardano con cura dal peccato, sono afflitte da dure prove. Qui ci si preoccupa di piacere a Dio, ma si è ancora attaccati ai beni della terra. Se si ricevono delle consolazioni vengono però sentite come del tutto naturali (per es.: il piacere di aver compiuto un’opera buona). In questo senso si è sostenuti dalla grazia, non c’è nessun intervento mistico o diretto di Dio, ma la vita naturale che è sostenuta dalla grazia. Tutto ciò che fino ad ora l’anima conosce di Dio le viene dalla vita della fede e la fede nasce dall’udito (ascoltare cioè capire le cose che ti accadono come un messaggio che Dio ti manda per istruirti).

 

4.a stanza Fin qui l’anima non ha avvertito nulla della presenza di Dio, ma Dio c’è. Solo nella quarta stanza l’uomo può avvertire uno stato di grazia, cioè al posto delle consolazioni che hanno origine dalla nostra natura, subentrano le dolcezze che hanno la loro origine in Dio. Esse vengono percepite anche dalla nostra natura che vi trova ancor più gioia che nelle consolazioni. La santa chiama queste consolazioni “le orazioni di quiete”, queste dolcezze si manifestano nell’anima senza nessuno sforzo dell’anima stessa, ma sono date da Dio.

Queste consolazioni vengono paragonate da S. Teresa all’acqua che viene condotta nei bacini attraverso dei tubi. Non siamo noi che dal pozzo tiriamo l’acqua con fatica ma riceviamo l’acqua senza sforzo. Cioè mentre nell’orazione di prima c’è la nostra fatica, nell’orazione di quiete il protagonista è Dio.

In questa stanza si rientra in se stessi perché si è chiamati da Dio. Poiché dipende completamente da Dio il tuffare l’anima nella quiete, la Santa Madre Teresa invita insistentemente a tenere imbrigliata l’attività dell’intelligenza e della immaginazione, cioè in questo stato l’anima deve perdersi completamente in Dio, perché se si sforza con l’intelletto giungerebbe all’aridità, faticherebbe cioè a vuoto. Se si sforzasse, metterebbe in agitazione l’intelletto e l’immaginazione, trascurando l’essenziale.

Es.: Marta e Maria. Il compito di Marta è essenziale ma Maria fa orazione, bisogna alimentare se stessi pensando alla gloria del Signore. È Dio che si da come oggetto alla riflessione intellettuale, Dio ha una luce nella nostra anima che sorpassa tutto ciò che noi possiamo cogliere, così che l’intelletto rimane assorto.

Qual è l’effetto di questa preghiera? La dilatazione o l’aumento dell’anima. Quindi le quarte mansioni sono quelle in cui il protagonista non è più l’anima ma Dio, l’anima da questa esperienza ne esce più sapiente.

 

5.a mansione Mentre l’anima nell’orazione di quiete è come in un sogno perché sembra assopita pur non essendo completamente addormentata, nella quinta mansione è nella cosiddetta orazione d’unione, cioè l’anima è completamente addormentata per le cose del mondo e completamente sveglia per Dio. Questo fenomeno però è di brevissima durata, non può durare più di mezz’ora, in sui l’anima è completamente assorta in Dio, potremmo paragonarla al sonno dello spirito di quelli che vanno a Medjugorie. Il corpo non percepisce il dolore, diremo che l'anima non è nemmeno cosciente di se stessa, però è completamente sveglia per Dio. Le potenze dell’anima sono in uno stato di riposo, cioè memoria, intelletto e volontà sono spente e il corpo è come se fosse senza vita. In questo stato neppure il demonio può entrare e fare danni perché Dio è così profondamente legato all’essenza dell’anima che il diavolo non solo non osa avvicinarsi ma nemmeno capisce ciò che sta succedendo. Che cosa accade in questa breve esperienza di unione? Accade che l’anima non comprende che cosa succede, ma Dio si imprime nell’anima in modo tale che quando essa rientra in se stessa non può dubitare di essere stata in Dio e Dio in lei.

Questa verità rimane in lei tanto solidamente, che anche se Dio per tanto tempo non elargisce più questa grazia, l’anima non la può più dimenticare. Attraverso questa mansione S. Teresa giunge a una verità di fede: che Dio è in tutte le cose, con la sua presenza, con la sua potenza, con la sua essenza. E questo è diverso dalla inabitazione per stato di grazia, cioè nessuna cosa potrebbe mantenersi nell’essere da se stessa, il che significa che tutto ciò che è per essere deve sempre essere sostenuto nell’essere, cioè ricevere l’essere da Dio.

Tutto ciò che è creato è sostenuto nell’essere da Dio, anche satana gli è sottomesso in tutto e per tutto. È del tutto impossibile quindi giungere nella settima stanza senza che Dio conduca l’anima. La Stein riprende l’esempio del baco da seta, paragonandogli la vita dell’anima. Cosa fa il baco? Si alimenta, si costruisce la casa nella quale deve morire, muore e rinasce farfalla. È come se l’anima dovesse fare la stessa cosa. L’anima con l’orazione muore il mondo ma attraverso l’orazione, le letture, le prediche, la vita di grazia si è alimentata e si è costruita la casa dove deve morire per rinascere in modo completamente diverso a quella che è la vita di grazia. Lo scopo finale della vita di grazia, della vita mistica, allora, è una vita di profonda unione con la volontà di Dio, dove la volontà dell’uomo coincide perfettamente con la volontà di Dio. Questo lo hanno sperimentato già molti santi divenendo esempi vivi per noi. Come Gesù ha vissuto completamente la volontà del Padre così il cristiano vivrà esattamente della volontà di Cristo, unificato radicalmente e totalmente nella volontà di Dio.

Questo cammino ha un obiettivo teologico. Il paradosso è che questo cammino si conclude con l’unione della volontà di Dio con quella dell’uomo, e il tutto porta l’uomo a ritornare nel mondo per servire gli altri. Non è una mistica che separa dal mondo ma fa ritornare l’essere umano nel mondo e nella storia. È un cammino che conduce il credente alla condizione di libertà e servizio. Il motto potrebbe essere “Contemplativi per la Chiesa”. C’è una duplicità di amore verso Dio e verso gli altri.

 

Nella 6.a stanza ha luogo il cosiddetto fidanzamento spirituale, il presupposto che porta all’unione tra la volontà di Dio e quella dell’uomo, cosa che si realizzerà nella 7.a stanza. Qui il suo desiderio di questa unione anela. Qui c’è un lavoro di purificazione, l’anima viene colpita da profonde bufere interiori che possono essere paragonate solo alle pene dei dannati e alle quali solo Dio può porre fine. Questa sofferenza non dipende dalla sua volontà e solo il Signore inaspettatamente vi pone fine, come se sull’anima non fosse mai gravata questa nube oscura.

Tale esperienza non è lunghissima e grazie all’intervento divino, quando le pene cessano, l’anima si sente sollevata. L’anima sa che ciò è reso possibile solo grazie all’intervento di Dio, ella sa molto bene che non è stata lei a vincere, ma la grazia del Signore. Per giungere a questa certezza l’anima non ha bisogno di riflessione o ragionamento, l’anima sa bene di essere “piccola” perché ha conosciuto la propria nullità.

Quali sono le sofferenze?  Fra le sofferenze di questa fase c’è anche l’incapacità di pregare, e l’anima non trova consolazioni né presso Dio, né presso le creature.

E l’anima cosa può fare? Ciò che può aiutare per ovviare a ciò sono le opere di carità che rendono sopportabile questa fase, come pure la fiducia nella misericordia di Dio.

Però l’anima sente di essere già vicina a Dio. Egli si fa sentire con impulsi dolci e delicati che partono dal più profondo dell’anima, e sono completamente diversi da tutto ciò che noi possiamo stimolare nella nostra anima. Spesso l’anima è del tutto distratta e non pensa per niente a Dio, ma viene svegliata dalla Maestà divina come mediante lo sfrecciare di una cometa o di un tuono improvviso. Ella non ode alcun rumore, ma riconosce molto bene che Dio l’ha chiamata. Non è una voce razionale ma è una locuzione. L’anima sente di essere stata ferita senza sapere né come né da chi, ma capisce che è una ferita preziosa e non vuole essere guarita. Sa che il suo Sposo è presente, ma che non vuole ancora manifestarsi in modo da lasciarsi godere. Questa è una pena grande ma, allo steso tempo, amabile e dolce. E da essa l’anima non vorrebbe esser liberata. A questo punto intervengono le cosiddette locuzioni, un altro modo con cui Dio è solito spronare le anime. Esse o vengono dall’interno dell’anima, altre dalla sua parte ancora più interiore e profonda. C’è il rischio però di cadere nell’illusione, le locuzioni possono venire anche dal diavolo. C’è quindi bisogno di segni che facciano comprendere all’anima che le locuzioni provengono da Dio. Il segno più sicuro della loro provenienza divina è la forza dominatrice e la potenza attiva che le locuzioni di Dio portano con sé. (per esempio se l’anima si trova nelle pene, nell’afflizione le basta ascoltare una sola parola, tipo “non affliggerti” perché questa abbia subito un effetto positivo e duraturo sull’anima stessa). Un secondo segno dell’origine divina di tali locuzioni è che le stesse lasciano nell’anima una grande pace, producono un devoto e pacato raccoglimento e spronano a lodare Dio. Il terzo segno è che queste locuzioni non le escono mai più di mente, rimangono impresse e non si dimenticano più.

Queste locuzioni non sono percepite né con i sensi né con la facoltà immaginativa, ma per via intellettiva provengono da Dio e l’anima ne è certa. Esse sono caratterizzate da tanta chiarezza che l’anima noterebbe se vi mancasse una sola sillaba. La parola di Dio contiene molto più di quanto il nostro intelletto riesca a comprendere o riesca d’inventare in un tempo così breve.

Spesso mentre Dio fa capire all’anima certe cose con le parole, le viene rivelato molto più di quanto queste parole stesse dicano, in un modo che, dice S. Teresa, “io non so spiegare”. Può anche capitare che una parola di Dio rivolta all’anima possa portarla all’estasi. Quantunque dopo non si sappia dir nulla di queste grazie esse restano impresse profondamente nella memoria che non verranno mai più dimenticate.

Nello stesso tempo l’anima vede, nell’estasi, qualche barlume delle meraviglie di quello scomparto di cielo empireo che noi, dice la santa, dobbiamo avere nell'intimo della nostra anima.

È solo una rapida occhiata, essendo l’anima assorta in Dio. Tornata in sé può richiamare alla mente ciò che ha visto ma senza poterne dire qualcosa.

Un fatto sostanzialmente uguale all’estasi, ma avvertito nel suo svolgersi come diverso, è ciò che la santa di Avila chiama il volo dello spirito.

Qui si sente un impetuoso moto dell’anima e lo spirito sembra venir strappato via con tanta rapidità che specialmente in principio si ha molta paura. Come se lo spirito fosse avulso dal corpo, eppure la persona certamente non è morta, ma per alcuni istanti non è in grado di dire se l’anima sia nel corpo o fuori di esso. Tuttavia quando torna in sé pensa di essere stata in un mondo diverso da quello in cui viviamo. In questo breve istante ella appende tante cose che non avrebbe potuto apprendere in molti anni di studio né con l’immaginazione né con l’intelletto. Per farsi meglio comprendere la santa usa questo esempio: “l’anima che forma una cosa sola col corpo come il sole coi raggi; mentre essa sta al suo posto, per mezzo del calore che le viene dal vero Sole di giustizia, mediante una sua parte superiore si eleva sopra se stessa” (CI 6,V,9).

Il volo dello spirito termina presto, ma rimangono nell’anima grandi vantaggi: riconoscimento della grandezza di Dio, conoscenza di sé e umiltà al pensiero che un essere così baso, in confronto al Creatore, ha osato offenderlo e in più osa alzare gli occhi su di LUI, un grande disprezzo delle cose di questa terra nella misura in cui esse possono essere usate al servizio di Dio.

Nostalgia della morte e desiderio dalla più piccola imperfezione. Tutte le grazie che si ottengono nella sesta mansione servono solo a desiderare di più Dio. Tutto ciò prepara alla settima mansione “Quando Nostro Signore, dice s. Teresa d’Avila, acconsente ad avere pietà dell’anima che ha già spiritualmente preso some sposa, grazie agli spasimi che ella ha sofferto per il desiderio di Lui, prima che il matrimonio spirituale venga consumato, la introduce nella sua propria mansione che è la settima” (CI, 6, I,3). Ciò avviene nel corso di una visione intellettuale, in cui le Tre persone si chinano sul suo proprio spirito. Per un miracolo di conoscenza che le viene concesso, anima vede con la più assoluta certezza come le Tre Persone divine siano una sola essenza, una sola potenza, un’unica scienza, un’unica divinità: “si può dire che arriva a conoscere per visione ciò che noi crediamo per fede, nonostante non veda nulla né con gli occhi del corpo, né con quelli dell’anima”. “Tutte Tre le Persone si comunicano a lei, le parlano, le rivelano il significato di quelle parole del Vangelo dette dal Signore, e cioè che Egli, il Padre e lo Spirito Santo vengono ad inabitare nell’anima che lo ama e osserva i suoi comandamenti” (CI. 7, I,6).

La divina compagnia non abbandona più l’anima. Lei però non lo vede bene come la prima volta: solo dio può rinnovarle questa chiarezza. L’anima non può restare costantemente immersa in questa contemplazione, ma deve compiere i suoi doveri, inerenti al suo stato.

È come se l’essenza dell’anima si trovasse divisa compiendo le funzioni sia di Marta e sia di Maria. Nella vita della santa il matrimonio fu preceduto dalla famosa visione del serafino che col dardo infuocato le trapassava il cuore. Ma non è una cosa necessaria questa.

Il matrimonio ha luogo, dice S. Teresa, nel punto centrale e più intimo dell’anima, dove deve abitare Dio stesso. A mio avviso non ha bisogno di alcuna porta per entrare. Qui il Signore si mostra attraverso una visione intellettuale non immaginaria. Le dona una profonda pace, che però non è la certezza matematica di essere già salva. Si può dire che lo spirito dell’anima è divenuto una sola cosa con Dio, nel senso che la volontà di Dio è talmente la volontà della creatura che questa non vuol altro che la volontà di Dio.

Il primo effetto del matrimonio è un oblio di sé, ogni suo sforzo è teso alla ricerca della maggior gloria di Dio. Il secondo effetto è un grande desiderio di soffrire, senza che questo inquieti l’anima come prima. Se prima desiderava morire ora il suo desiderio è compiere la volontà di Dio servire il Signore sulla terra. Nella Chiesa di cui si sente profondamente figlio.

Non hanno più nessun desiderio di dolcezze spirituali, né di gioie. Vivendo in un grande distacco da ogni creatura e desiderano sempre di essere sole o di lavorare al bene delle anime, sempre grate al Signore. Le estasi sono cessate quasi del tutto. Edith Stein ritiene che forse per la santa il traguardo delle anime in questa vita sia proprio questo ritornare al lavoro nella vigna del Signore rinvigorite e tutte dedite alla sua gloria.