LA DIMOSTRAZIONE ESISTENZIALE DI DIO COME ESSERE

Partiamo da un’affermazione fatta dalla Stein. “Tutte le volte che lo spirito umano nella sua ricerca della verità ha cercato un punto di partenza infallibilmente certo, si è imbattuto in questo qualche cosa inevitabilmente vicino: il dato di fatto del proprio essere”[1].

La Stein per dimostrare l’esistenza di Dio come essere parte dall’essere che lei è. Il partire dall’essere che io sono è stato ripreso da pensatori lontani, il primo S. Agostino che parla di Si fallor sum nel De Trinitate[2], Cartesio con Cogito ergo sum nel suo Meditariones di Philosophia prima[3]. S. Agostino si scontrò con lo scetticismo del tempo, il quale affermava che non ci fossero verità certe. Agostino diceva invece che esistevano verità matematiche e quindi certe e, inoltre, asseriva che non si potesse dubitare del fatto che ognuno di noi è (anche questa era una verità certa!).  

La filosofa di Breslavia parte da questo, il punto di partenza è il proprio essere. Non posso dubitare del fatto che io sono, che sto qui, della mia esistenza che dal punto di vista fenomenologico è l’ampio campo della coscienza pura come campo di ricerca, come vita dell’Io. Posso dubitare che l’oggetto che percepisco esista, ma non del fatto che percepisco un percepito che cioè, la percezione, nella’tto stesso del percepire, abbia come contenuto il percepito stesso; di ciò che sento ma non del fatto che io sento, di ciò che vedo ma non del fatto che vedo, ecc. Sia nel vivere di S. Agostino, nel cogito di Cartesio, nella coscienza di Husserl si cela un Io sono.

Partiamo quindi dalla vita dell’Io, questo io sono viene colto intuitivamente, è un Eureka, un ho trovato, è un’intuizione immediata che non è assolutamente dedotta. Questa certezza del proprio essere è una conoscenza originaria in quanto è iniziale ed inseparabile da me. Non appena lo spirito si immerge nella riflessione io sono consapevole di essere Io.

            In ordine temporale non è la prima certezza poiché l’uomo ha un atteggiamento rivolto verso il mondo esterno, e non è neanche la prima intesa come principio dal quale si possono ricavare le altre affermazioni. (Originaria = io prima vedo la cosa e poi torno indietro e mi rendo conto che sono io che sto vedendo). È originaria perché è inseparabile da me, da ciò che mi è più vicino, è un punto di partenza al di là del quale non si può andare. Questa certezza d’essere è una certezza non riflessa. Non appena lo spirito si immerge con la riflessione nella considerazione del semplice dato di fatto del suo essere, sorgono tre interrogativi:

1)     Che cos’è l’essere di cui sono consapevole?

2)     Che cos’è l’io, che è consapevole del suo essere?

3)     Che cos’è quel moto dello spirito (atto), in cui mi trovo e in cui sono consapevole di esso in quanto mio ed in quanto moto?    

 

            Se io guardo all’essere che io sono dentro di me, questo è essere e non-essere. Ciò che io sono è sempre diverso, prima ero intento a mangiare un cioccolatino mentre ora sono attento a spiegare. C’è una diversità ed una uguaglianza, c’è un essere ed un divenire, c’è un essere che è passato e lascia il posto all’essere di ora[4]. Questo essere passa ma rimane, questo essere non si può separare dalla temporalità, è un essere puntuale compreso tra un non più e un non ancora. Il non più è un ritenere come ricordo, il non ancora è il protendere verso.  In questo fluire nel quale io sono sempre un punto, sono quell’io che puntualmente assorbendolo dà vita a questo vissuto che fluisce come passato ritenendolo, come presente vivendolo, come futuro aspettandolo.  Da qui dimostriamo e scopriamo questo essere che non è l’essere temporale che Io sono. Dentro questo essere che io sono ho scoperto l’idea dell’essere e del non essere, del fluire del tempo. Si è manifestata l’idea del non essere più presente di quello che era un tempo il vissuto presente.

            Colgo anche l’attualità, quello che io posso essere in quel momento e si attualizza, mi si fa presente. L’essere che sono io e che mi si è rivelato è pienamente vivente e puntuale, cioè l’essere è la vita dell’io. L’io è questo essere che vivo. Il passato ed il futuro non sono essere in senso assoluto ma sono un vissuto che è stato o che sarà (poter essere), ciò può essere ripreso attraverso una ritenzione di ciò che è stato e può essere aspettazione di ciò che sarà nel futuro. Passato e futuro hanno in fondo un essere che è conoscibile nel ricordo e nell’attesa, conoscibile grazie all’intelletto. Questo essere puntuale, che io sono, non è da solo né può essere pensato da solo; è un punto che sta in una linea che scorre, che fluisce, che si muove. Questo punto emerge nel punto in cui io sono, questo io vitalizza il vissuto. È un essere che ha una durata ma non è attuale nell’intera durata. Nel momento in cui io sono c’è la dinamica della potenza e atto, non è passaggio da essere a non essere, ma è modificazione dell’essere che si sviluppa e diviene. Atto e potenza sono contenuti come modi di essere e si ricavano da questo essere puntuale. Questa potenzialità che diventa puntualità, è una via di mezzo tra essere e non essere, questo essere diviene gradualmente. Vi è un presente che può non essere pienamente vivo (per es. il mio volere uscire dall’aula è anche un poterlo non fare).

            Cos’è che fa che il poter essere diventi atto?

            È l’atto intenzionale che lo assume. Tutti questi modi appartengono al mio essere attuale, alcuni sono intenzionati ma fan parte di un qualcosa di più grande che ha una copresenza di tanti possibili vissuti e di potenzialità d’essere. Il tempo deriva dall’attualità multiforme dell’io, la coscienza del tempo è costitutiva del mio essere e poter essere è quella luce puntuale che è il mio io e proprio questa capacità di produrre tempo ed essere tempo lo rende finito. La dimensione della temporalità è quindi quella della finitezza. L’essere punto che io sono così come l’ho vissuto è tempo, ciò che ogni persona è, è un divenire di tanti punti di contatto. Edith Stein scopre l’essere che è in noi e scopre che questo essere che potrebbe obliarsi è contenuto nell’essere. Nell’essere puntuale che io sono trovo l’immagine di un essere eterno, infinito il quale mi sostiene e mantiene. Io colgo in me un essere che mi trascende. Per Sant’Agostino il tempo è l’estensione della coscienza mentre per la Stein il tempo è il presente passante per il punto di contatto esistenziale (per contatto esistenziale intende l’io che significa vissuto).

            Nella fenomenologia il tempo è insieme di atti intenzionali, questo essere è dato dalla somma di tanti piccoli esseri finiti che determinano questa identità dell’io e ciò dalla nascita alla morte. Il passato è vissuto, è stato e posso ricordarlo, il presente è l’io pienamente vivente mentre il futuro è un non ancora vivente. All’interno dell’unità del vissuto che è pienamente vivente c’è qualcosa che raggiunge continuamente il livello dell’essere, è la sua attualità, è il suo contenuto (per es. l’argomento che il professore sta spiegando è un atto intenzionale che viene reso presente in quanto ricordo passato, questo passato è reso vivo e viene fatto diventare essere solo per un attimo).

L’io è vivente ma puntuale e come tale può conferire per un attimo la vita al vissuto. La sua vita ha bisogno di contenuti perché l’io è coscienza, una coscienza che non è mai vuota ma è sempre coscienza di qualcosa. Quindi, è come se avessimo del nostro tempo un’esperienza di vita puntuale e non avessimo la forza di andare oltre quel punto.

Ricapitolando, abbiamo visto la puntualità dell’io, che il vissuto è anche puntuale ed è tenuto in vita dall’io, abbiamo scoperto che ogni volta viene conferito all’essere un contenuto seppur diverso e abbiam capito che questa esperienza è condizionata dal contenuto datogli dall’io stesso. Ma questi contenuti dell’io senza i quali l’io è vuoto da dove vengono? La vita dell’essere ha per forza bisogno di contenuti, l’io è questo punto, la vita è l’essere dell’io ma l’io non ha l’essere da sé. L’essere di questo io vive di attimo in attimo e diviene nel tempo e dentro il mio essere io incontro un altro essere che tiene in vita il mio stesso essere, è il fondamento che lo sostiene. Un essere che io sono ed è ora finito può diventare ciò che potrà essere ma ha necessità del tempo. L’altro essere, che scorgo dentro di me, è l’Essere eterno che mi tiene in vita. Dentro di me incontro un essere eterno che di volta in volta mi fa essere. Dentro di noi c’è una parte nella quale incontriamo Dio.

 



[1] EDITH STEIN, Essere finito Essere Eterno, Città Nuova, Roma, p. 72, 2000.

[2] AGOSTINO, De Trinitate, XV, 12, Città Nuova, Roma, 1998.

[3] CARTESIO, Meditationes de prima  philosophia, II, Bompiani, Milano, 2001.

[4] Cf, AGOSTINO, Confessione, XI.