Edith Stein: critiche alla filosofia di Martin Heidegger

 

Per una forma, diciamo così, di distorsione storiografica, certamente voluta, sembrerebbe non solo che l’unico a riproporre la questione dell’essere nell’ambito della filosofia novecentesca sia stato il solo Heidegger con il suo monumentale Sein und Zeit, ma anche che questa filosofia sia l’unica forma di fenomenologia che l’abbia posta. In verità non è così. Contemporaneamente allo sviluppo della fenomenologia husserliana nel cantiere herideggeriano che avrebbe prodotto Essere e Tempo anche un’altra allieva ed assistente, sia pure in un tempo precedente, di Edmund Husserl, Edith Stein, appunto, andava elaborando la questione dell’essere. Questa volta però nell’incontro della fenomenologia del  maestro con il pensiero tomista. In genere la storiografia filosofica e la manualistica ignorano o passano in second’ordine questa diversa via dando ad Heidegger uno spazio che ci pare quantomeno eccessivo, se non completamente esagerato. Riteniamo, invece, estremamente interessante la via indicataci dalla Stein per il superamento anche delle aporie interne al soggettivismo ed idealismo dello stesso maestro della fenomenologia, nonché del superamento del nichilismo ontologico di Heidegger. e ciò proprio a partire dalle posizioni e dai suggerimenti della filosofa tedesca[1].

Tornando alla Stein, l’articolo in questione intitolato La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, scritto che risale al 1936, e che originariamente doveva essere, secondo il progetto stesso della Stein, una delle due appendici alla sua opera fondamentale: Essere finito ed Essere eterno, fu pubblicato postumo negli Edith Steines Werke al volume VI. Qui non si tratta solamente di una questione soltanto bibliografica ma squisitamente filosofica. Infatti, l’intenzione della Stein di pubblicare in Appendice alla sua opera fondamentale, in cui affrontava ella stessa la questione dell’essere, questo scritto rivela tutta la sua preoccupazione per gli esiti devastanti  che la filosofia del marburghese poteva comportare ed inoltre, alla critica all’antropologia di Heidegger faceva da contr’altare il commento al Castello Interiore di S. Teresa d’Avila, della quale evidenziava la  totalmente diversa antropologia. Lo diciamo chiaramente: la filosofia di Heidegger non è affatto la riproposizione della questione dell’essere che giunge ad una conclusione positiva del concetto di essere, ma la sua semplice abdicazione al nulla. Questi, infatti, pone sì la questione dell’essere ma per eluderla nella sua effettiva realtà e per sminuirne la portata. In virtù della cancellazione della differenza ontologica l’essere di cui parla Heidegger si riduce all’orizzonte della physis, ma in virtù del suo nichilismo la stessa physis si è ridotta alla volontà di potenza che qui diviene mondo e progetto dello stesso DaSein.  Invece, «una dottrina generale dell’essere – conferma la Stein – non può limitarsi all’essere creato, ma deve prendere in considerazione la differenza tra l’essere creato e quello increato e il rapporto che intercorre tra essi»[2]. La stessa osservazione, ma più approfondita, la ritroviamo in nota in Essere finito e Essere eterno. In nota al testo la Stein sintetizza quali sono i limiti della ricerca heideggeriana. Li riportiamo per intero. Ella scrive: «Heidegger non ha rigettato la vecchia definizione della Metaphysica generalis come dottrina dell’ente in quanto tale, ma soltanto ha sottolineato che era necessario chiarire il senso dell’essere. E in questo siamo d’accordo con lui. Ha quindi fatto un ulteriore passo, sostenendo che per comprendere il senso dell’essere, si deve indagare sulla comprensione dell’essere propria dell’uomo. poiché trovò il fondamento della possibilità della comprensione dell’essere nella finitezza dell’uomo, vide  nell’approfondimento della finitezza dell’uomo il compito assegnato a una fondazione della metafisica. Qui si devono sollevare osservazioni da due punti di vista. In metafisica si tratta del senso dell’essere in quanto tale, non solo dell’essere dell’uomo. Chi sorvola sulla questione  del senso dell’essere, risiedente nella stessa comprensione dell’essere, e, non curandosi di ciò, “progetta” la comprensione dell’essere dell’uomo; incorre nel pericolo di tagliarsi fuori dal significato dell’essere; Heidegger è appunto incorso in questo pericolo. Seconda riflessione: la comprensione dell’essere non appartiene alla finitezza in quanto tale, poiché vi sono enti finiti cui non è propria la comprensione dell’essere. Questa appartiene a ciò che distingue  un essere spirituale e personale da un altro essere. Si dovrebbe perciò distinguere la comprensione umana dell’essere da quella degli altri spiriti finiti, e ogni comprensione finita dell’essere da quella propria dell’essere infinito (divino). Che cosa sia la comprensione dell’essere in senso assoluto, non si può vedere prima che venga chiarito che cosa sia il senso dell’essere. Così il problema fondamentale per la fondazione della metafisica resta il problema intorno al senso dell’essere».[3] Perciò in Heidegger,[4] checché egli stesso ne dica, la questione dell’essere viene posta solo a livello antropologico (sebbene il suo sia un tentativo, per altro non riuscito, di determinare una ontologia dell’essere dell’esserci, alla fine ben si addice alla sia filosofia la definizione di esistenzialismo) e per nulla ontologico in relazione alla questione dell’essere. Egli critica la metafisica ma alla fine ne produce egli stesso una, sia pure una metafisica del non-ente e dell’essere ridotto alla temporalità dell’esserci. E ciò perché egli si rifiuta di discutere la questione del senso dell’essere a prescindere dalla questione dell’essere dell’esserci. È per via della matrice gnostica del suo pensiero che il marburghese non pone correttamente tale questione. Dunque, dopo aver concordato con l’eretico assistente di Husserl circa la necessità di riporre la questione del senso dell’essere la Stein nota che questi non fa che porre la questione dell’essere a livello dell’essere dell’uomo, o meglio alla comprensione dell’essere propria dell’uomo. Il passo successivo è quello di trovare il fondamento della metafisica nella comprensione della finitezza dell’uomo.

Nell’articolo dedicato allo studio della filosofia heideggeriana la Stein, dopo una fedele esposizione del pensiero del filosofo tedesco, ne valuta il senso e la portata. A noi interessa in modo particolare questa analisi in quanto non solo vengono evidenziati i limiti di tale filosofia, poiché ne vengono messi in luce i fraintendimenti costitutivi, ma anche perché rappresenta una critica alla filosofia di heidegger che gli viene mossa dall’interno del movimento fenomenologico di cui i due filosofi, pur nelle loro differenze fanno parte. La Stein nota che in essere e Tempo, intendendo con l’essere dell’esserCi l’essere umano «si dice chiaramente che l’essenza dell’uomo è l’esistenza. Ciò non significa nient’altro che per l’uomo si rivendica ciò che secondo la philosophia perennis è riservato solo a Dio: la coincidenza di essere ed esistenza». Qui però l’uomo non viene sostituito a Dio, EsserCi, infatti, non è l’essere in quanto essere, «ma un particolare modo di essere che si contrappone agli altri modi d’essere».[5] L’eccezionalità dell’esserCi nella posizione dell’eretico assistente sta nel fatto che è l’unico cui si possa porre la domanda sul senso dell’essere e questo ne fa di lui un «piccolo dio»[6]  come nota giustamente la Stessa Stein. Il problema è che riducendo l’uomo all’esserCi, e il suo essere all’essere dell’esserCi, ci si priva di uno studio della sua dimensione corporale e di una dottrina dell’anima, come sottolineato dalla filosofa carmelitana scalza. La filosofia di Heidegger è una filosofia autolimitantesi ed incongruente, soprattutto sul versante razionale, eppure è una filosofia che l’occidente ha fatto propria, dando ad essa il suo assenso e pensandosi nei termini da essa definiti. Ciò conferma, a nostro modesto parere, che esiste una opzione fondamentale, meglio una Risposta Costitutiva che precede il pensiero stesso, da cui la modernità ha pensato se stessa, risposta che va verso la scristianizzazione stesa dell’Occidente e in cui la filosofia di Heidegger giganteggia come vera e propria icona.

Edith Stein pur riconoscendo la magistralità di Heidegger nell’individuazione dei modi di autentico ed in autentico dell’esistenza - ma forse le è sfuggito che proprio questi termini rimandano alla matrice gnostica del suo pensiero, come ben evidenziato dallo Jonas -  come costitutivi dell’essere dell’Esserci, però si chiede: «Ma tale costituzione fondamentale è analizzata nel modo migliore in vista di una chiarezza ulteriore dell’essere umano?»[7]. Il concetto della gettatezza, la Geworfenheit, di cui già abbiamo ampiamente parlato prima,  esprime con chiarezza il fatto che l’uomo esiste senza sapere come sia giunto all’esserci. Il problema sta non solo nel fatto che questo concetto è di matrice gnostica, ma anche nel fatto che Heidegger non individua in questa gettatezza la creaturalità dell’uomo. questa critica viene mossa ad Heidegger non solo dalla Stein, ma anche dal filosofo ebreo-polacco Abraham J. Heschel[8]. La prima scrive appunto che la gettatezza si rivela come creaturalità, mentre il secondo sottolinea che il mio esistere non dipende da me e che la gettatezza presuppone un ordine, un esisti!, appunto, come radice del mio esistere. Esistere è già rispondere ad un appello, dunque, come abbiamo già evidenziato nella  II Ricerca sulla Risposta Costitutiva. Da quanto emerge, invece, da ciò che lo stesso heidegger dice riguardo alla deiezioni al par. 38 di Sein und Zeit, in cui afferma che «l’interpretazione ontologico esistenziale non ha la pretesa di formulare giudizi ontici sulla corruzione della natura umana; e ciò non perché ne manchino le prove, ma perché la sua problematica si pone al di qua di qualsiasi giudizio sulla corruzione o sulla non corruzione degli enti» risulta un rifiuto dell’accettazione della dimensione della temporalità in seno alla questione dell’essere, e tale appunto viene proprio da colui che ricuce la questione dell’essere al tempo? In verità mi sembra troppo poco, perché Heidegger incorre nell’errore di considerare la questione della corruzione o non corruzione dell’ente come una questione meramente morale, mentre è invece una questione decisamente ontologica. Perciò, ha pienamente ragione la Stein quando afferma che «bisogna dire che l’insegnamento della Chiesa che riguarda il peccato originale è la soluzione dell’enigma che emerge dalla descrizione di Heidegger dell’Esserci deietto»[9]. In più si può trovare conferma di ciò nella brillante analisi che fa Del Noce ne Il problema dell’ateismo quando dice che «l’ateismo si presenta come momento terminale di un processo di pensiero condizionato all’inizio da una negazione senza prove della possibilità del soprannaturale», come rifiuto dell’iniziale status naturae lapsae . Infatti «le concezioni del mondo  si formano in relazione ad una iniziale risposta al problema del peccato originale»[10]. Ed Heidegger l’ha decisamente accantonato. A questo punto Edith Stein si chiede da dove provenga ad Heidegger la conoscenza di un essere autentico da lui presupposta. La risposta non la si può trovare che nel concetto appello, chiamata, che ogni essere riceve attraverso la voce della coscienza. ma colui che chiama all’autenticità [11] non può essere lo stesso che è chiamato come presuppone ingenuamente proprio Heidegger. Per questi il passaggio dalla condizione in autentica dell’Esserci a quella autentica avviene nell’essere-per-la-morte intesa come comprensione della morte e un «anticiparsi per la morte»[12] . E quanto sia gnostico questo concetto lo abbiamo appena dimostrato. La Stein, giustamente, rileva che «se il senso ultimo dell’esserci deve essere l’essere-per-la-morte, allora attraverso il senso della morte dovrebbe essere chiaro il senso dell’Esserci. Ma come è possibile ciò se della morte non si dice altro che è la fine dell’esserci?». E aggiunge argutamente  «non è un circolo vizioso?» [13].

La sezione B è intitolata Considerazioni ed è strutturata in tre parti che nascono dalle seguenti domande che ella si pone: 1) Che cosa è l’Esserci?; 2) L’analisi dell’esserci è fedele?; 3) Essa è un fondamento sufficiente per porre adeguatamente la questione del senso dell’essere? Circa la prima questione , ovvero: Che cosa è l’esserci?, Edith Stein ne individua subito il nucleo  centrale quando afferma che «Heidegger  con il termine Esserci intende l’essere umano»[14] , me rimane il fatto che per Heidegger, come già prima sottolineato, ma è il caso di ribadirlo, «l’essenza dell’Esserci consiste nella sua esistenza»[15]. Ma ciò rimanderebbe ad una natura divina dell’essere umano che non sussiste affatto. L’uomo però non è sostituito da Heidegger completamente a Dio poiché, con l’esserci, non viene inteso l’essere in quanto tale, ma un particolare modo d’essere contrapposto ad altri, l’essere utilizzabile, l’essere semplicemente presente. resta il fatto che per il filosofo tedesco «l’uomo è considerato  come un piccolo Dio, in quanto l’essere umano è ritenuto come un essere eccezionale al di sopra di tutti gli altri e come l’essere dal quale si può sperare l’unico chiarimento sul senso dell’essere»[16]. Di Dio si tace o se ne parla in Essere e Tempo in modo marginale o in qualche nota allo scopo di escluderlo; l’essere di Dio è escluso a priori ed in modo ingiustificato dalla riflessione. Riguardo alla scelta del termine EsserCi per indicare l’uomo, Edith Stein ne individua due, una positiva e l’altra negativa. Quella positiva è dettata dal fatto che all’essere dell’esserci appartiene l’essere condizionato, ma questo tema era già comparso in Husserl prima ancora che Heidegger si avvicinasse alla fenomenologia e precisamente già nelle Ideen, il suo essere qui e il poter essere lì, ovvero ciò che in termini aristotelico – tomisti (termini che Heidegger rifiuta a priori) si può esprimere con il termine “potenza”. La motivazione  negativa è dettata dal rifiuto della definizione dogmatica dell’uomo come composto di anima e corpo, anzi come «composto da due sostanza, una spirituale ed una corporea»[17]. A parte il fatto che la filosofia tomista, e sulla stessa linea si muoverà poi la Stein, non parla affatto di due sostanze come invece crede Heidegger confondendo Cartesio con la Scolastica medievale,  ma di una sola sostanza. Certo, riconosce la filosofa tedesca, Heidegger non rifiuta all’esserci la nozione di corporeità, parlandone anzi a lungo.  «Invece, il modo in cui si parla di anima  non lascia intendere altro che questa sia un termine dietro al quale non c’è nessun significato chiaro»[18]. Sebbene egli voglia disfarsi di questa separazione di anima e corpo, egli on vi riesce pienamente; ciò è dimostrato «dal fatto che egli parla continuamente  dell’essere dell’esserci: ciò -  sottolinea la Stein – non avrebbe alcun senso se si fosse inteso con Esserci nient’altro che l’essere umano»[19]. Inoltre, quando in Essere e tempo si parla di essere-nel-mondo[20] il Chi dell’esserCi è separato dal mondo ma anche dall’in-essere, si ha come risultato che il termine EsserCi viene utilizzato per cose diverse, intimamente collegate, tanto da non poter stare l’una senza l’altra, pur essendo diverse. Ne consegue che «per Heidegger l’Esserci indica sia l’uomo (per questo motivo si indica il Chi o il Sé) sia l’essere dell’uomo (in questi casi scegli per lo più l’espressione essere dell’Esserci)»[21] inteso come esistenza.

Successivamente la filosofa di Breslavia risponde alla seconda domanda se l’analisi dell’esserci è fedele. Dopo aver costatato che l’influenza durevole del libro è dovuta all’analisi dell’Esserci quotidiano la filosofa tedesca affronta la questione centrale della sezione  circa la deiezione, ovvero della gettatezza. Da questa analisi, come abbiamo già detto emerge che la deiezione può essere letta solo alla luce del concetto di creatura, in quanto appunto l’essere gettato presuppone un gettante. Il termine poi, come prima dimostrato con Jonas ha delle assonanze decisamente gnostiche e quindi è poco adatto a descrivere la dimensione della creaturalità. Il fraintendimento heideggeriano sta nella sua opzione fondamentale, della sua risposta costitutiva, di Heidegger come uomo e come filosofo appunto, a partire dalla quale la domanda intorno all’essere si riduce alla domanda intorno all’essere dell’esserci, questione da cui il filosofo tedesco non può più prescindere. Nel concetto do gettatezza sta proprio il limite della sua ontologia esistenziale. Infatti, quando gli si pone innanzi la domanda circa l’essere di questo esserci, la sua risposta non fa che approdare al nulla. La Stein riconosce all’assistente eretico di Husserl il merito della esposizione dei problemi notando però che gli manca la chiave per poterne comprendere appieno il senso in relazione all’Essere. E ciò, ci pare, emerga proprio per la dimenticanza della fondamentale  e fondante “analogia entis”. Non solo, ma la Stein, a ragione, si domanda: «Heidegger non ha reso impossibile sin da principio la chiarificazione necessaria di questo ruolo eminente rifiutandosi di parlare di Io e di persona, invece di interrogarsi suoi possibili significati di queste parole?»[22]. Ovvero, Heidegger si è limitato a cancellare, senza argomentarlo, il contributo di tutta la filosofia medievale e cristiana  apportato al pensiero Occidentale; o, quando lo cita lo fa semplicemente per decostruirlo. Insomma, è presente in lui, sia pure a livello latente, il pregiudizio illuminista e protestante nei confronti della tradizione latino-medievale. Anche nella tematizzazione del “Si impersonale” è, di fatto, presupposta una persona che vive questa condizione, mentre Heidegger lascia completamente nell’oblio questo aspetto.

A parte il fatto che questa filosofia si iscrive pienamente nella filosofia dell’eclissi di Dio o, meglio, della sua cancellazione opzionale e ciò  perché anche qui il tema del peccato originale è completamente obliato, liquidato nel suo aspetto morale, e non considerato nella sua dimensione ontologica, soprattutto per quanto concerne la questione della “deiezione”, come osserva con profonda lucidità la Stein. Ella afferma che «bisogna dire che l’insegnamento della Chiesa che riguarda il peccato originale è la soluzione dell’enigma che emerge dalla descrizione di Heidegger dell’esserci deietto»[23] Quando poi questi definisce l’essere dell’esserci come essere-per-la-morte non fa che produrre un circolo vizioso perché «attraverso il senso della morte dovrebbe essere chiaro anche il senso dell’EsserCi. Ma come è possibile ciò se della morte no si dice altro che essa è la fine dell’esserci?»[24].

In questo senso la filosofia di Heidegger si iscrive pienamente nell’eresia della modernità che consiste proprio nel passaggio ingiustificato dalla trascendenza all’immanenza, questa, con la iniziale cancellazione della condizione di peccato dell’uomo, porta all’ateismo moderno e alla irreligione contemporanea.

 



[1] Un’altra cosa dev’essere messa in chiaro, ed è questa. Heidegger non avrebbe mai potuto riproporre in ambito filosofico la questione dell’essere se non fosse stato preceduto dalle ricerche di Husserl. È infatti solo a partire dalle ricerche d’essenza di Husserl che è possibile avere gli strumenti per poter porre la questione d’essere nell’ambito del pensiero moderno tutto teso alla fondazione dello statuto delle scienza e alla riduzione della filosofia a scienza. La stesa formazione giovanile di heidegger in ambito neokantiano non gli avrebbe permesso questo passaggio. Spetta dunque alle ricerche fenomenologiche dell’ambiente husserliano il traghettamento della filosofia contemporanea alla questione cruciale dell’essere. Del resto solo le ricerche intorno all’essenza di cui la fenomenologia trascendentale è la scopritrice in ambito moderno rendono possibile questo passo, poiché l’essenza stessa in quanto quid rimanda alla questione del suo essere e di conseguenza a quella generale dell’essere in quanto essere.

[2] STEIN E., La Struttura della persona umana, op. cit., 63.

[3] STEIN E., Essere finito e Essere eterno, Roma, 1999, 57- 58, in nota. Grassetto nostro, corsivo della stessa Stein.

[4] Cf. HEIDEGGER M. Essere e Tempo, Milano 1976, 65 – 75.

[5] STEIN E., La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, in STEIN E., La ricerca della verità, Roma, 1999, 178.

[6] STEIN E., La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op. cit. 178.

[7] STEIN E. La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op. cit. p 180.

[8] Per quanto riguarda l’appunto mossogli dalla Stein si tenga presente quanto segue: «L’essere umano è indicato come gettato. In tal modo si esprime in modo eccellente che l’uomo si trova nell’Esserci senza sapere come vi è arrivato, che egli non è da sé né per sé e non può aspettare dal proprio essere alcun chiarimento sulla sua origine. Perciò non si può porre la questione sull’origine a partire dal mondo. Si può tentare ancora di metterla a tacere violentemente o di considerarla senza senso, tuttavia essa emerge sempre inevitabilmente, e in modo sempre nuovo, dalle caratteristiche presenti nell’essere di questo essere umano, in sé senza fondamento, che deve essere fondato, qualcuno che getti il gettato. Allora la gettatezza si rivela come creaturalità (Gëschopflichkeit)». In Stein, op. cit. 180. Heschel muove ad Heidegger la stessa critica quando afferma: «la domanda retorica di Heidegger: “il DaSein, come tale, ha mai deciso liberamente no sarà mai in grado di decidere se nascere o meno?”, è stata risolta da gran tempo: “Contro il tuo volere sei nato, contro il tuo volere vivi e contro il tuo volere sei costretto a rendere conto…”. La trascendenza dell’essere umano è in tal modo espressa come una vita che ci è stata imposta, così come ci è imposta la resa dei conti e la stessa libertà. La trascendenza dell’essere è un comandamento, l’essere qui e ora è obbedienza. Non sono stato io a far esistere il mio essere. Né sono stato gettato: il mio essere obbedisce a un ordine: “Esisti!”». In HESCHEL A. J. Chi è l’uomo?, Milano, 2005, 114.

[9] STEIN E., La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op., cit. 187.

[10] DEL NOCE A. Il problema dell’ateismo, op. cit. 356.

[11] Sarebbe meglio dire alla verità in opposizione alla falsità piuttosto che usare la coppia autentico-inautentico, poiché i termini utilizzati da Heidegger mirano proprio a cancellare la dimensione veritativa dell’ente, mentre l’introduzione dei termini gnostici autentico in autentico esclude il rapporto tra Essere creato e Creatore che la coppia di termini verità-falsità presuppone.

[12] HEIDEGGER M. op. cit. p 450.

[13] STEIN E. La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op. cit. 189.

[14]STEIN E , La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op. cit. 178.

[15] HEIDEGGER M. op. cit. 64.

[16] Stein E, op cit. 178.

[17] HEIDEGGER M, Essere e Tempo, op. cit., 295.

[18] STEIN E, La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op cit. 178- 179.

[19] STEIN E, La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op cit. 179.

[20] HEIDEGGER M, Essere e Tempo, op. cit., Cf. par. 76 e ss.

[21] STEIN E, La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op cit. 179.

[22] STEIN E, La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op cit. 182.

[23] STEIN E, La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op cit. 187.

[24] STEIN E, La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, op cit. 189.