Problemi dell’etica nella prospettiva ebraica nel pensiero di H. Jonas

La crisi dell’uomo moderno

Hans Jonas ritiene che la ratio, vittoriosa grazie alla scienza ha distrutto la fede nella rivelazione. Tale vittoria, di certo non positiva per la fede, poggia su alcuni punti fondamentali. Non avendo colmato questo vuoto con nulla ha prodotto una situazione nichilista le cui cause sono individuate in:

  • 1) Modifica del moderno concetto di natura
  • 2) Il moderno concetto di uomo
  • 3) La moderna tecnologia

Analizziamoli con calma.

Per quanto riguarda il  concetto di natura,  va detto che così come emerge dalla rivoluzione scientifica tale concetto rifiuta il concetto di creazione espresso nei versetti biblico: “In Principio Dio creò il cielo e la terra” e “Dio vide che era cosa buona”. Nella prospettiva della scienza, invece,  il mondo non è né buono né cattivo, semplicemente è indifferente.  Inoltre, Una natura creata narra la gloria del creatore. I cieli moderni  non narrano più la gloria di Dio. La frase di Kant: “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me” oggi non ha più senso.

Circa il  concetto di uomo sottolineiamo che mentre nella visione religiosa l’uomo è immago Dei, nella visione scientifica darwiniana, l’uomo è parte casuale del divenire universale (biologico).Il suo essere è frutto di forza casuali prive di uno scopo, di un telos. Il darwinismo, poi, offre un’immagine vuota dell’uomo in quanto manca la sua dimensione spirituale. Lo storicismo, invece,  considera l’uomo un prodotto della sua stessa storia – delle differenti e mutevoli culture di cui ognuna ha i suoi valori come dati di fatto e non come verità. La psicologia nega l’autenticità dello spirito, la giustificazione trascendente della persona, per cui l’Imperativo morale, s e e dove esiste,  non è la voce di Dio, ma la voce del Super-IO. Da tutto questo L’uomo che ne esce è “L’uomo ridotto”. Il paradosso moderno di tutto questo discorso sta nel fatto che la riduzione dell’uomo, la mortificazione del suo destino - vocazione metafisico, procede di pari passo con l’accrescimento del suo potere: da homo sapiens ad homo faber. Questo suo enorme potere conferitogli dalla moderna tecnologia si dispiega in un vuoto di norme etiche, anzi il dispiegamento stesso rifiuta ogni eteronimia. Infine, la natura e l’uomo come parte di essa diviene materiale dello stesso sviluppo tecnologico.Il mondo che era oggetto della conoscenza dell’uomo diviene oggetto della sua volontà.Questo incremento smisurato del suo potere cancella ogni forma di rispetto per la natura, ogni pietas, inserendo al nello stesso progetto dello sviluppo smisurato e senza scopo della tecnica.

L’intenzione fondamentale secondo cui la tecnica si costituisce è quella del dominio, il dominio smisurato è l’orizzonte mitico della tecnica e la tecnica, in quanto produce una visione del mondo, è mito. Perciò, in quanto volontà di dominio, essa intanto può dominare in quanto è effettivamente capace di controllo, nel senso di portare all’essere e far durare. La tecnica dice ciò che l’essere è in quanto ne organizza la produzione in base all’idea che essa stessa ne ha e se ne è fatta. Di nulla si può predicare l’assolutezza della verità poiché nell’orizzonte della tecnica, la verità è un programma per dominare. La tecnica come orizzonte della comprensione del mondo dissolve ogni pretesa di assoluto poiché l’esattezza del comprendere non può essere diversa dalla capacità di dominare. L’umanità contemporanea, una volta espropriata dalle possibilità religiose della pietà, è costretta di contro, dalla forza della necessità, alla spietatezza. Nella società tecnologica la comprensione si realizza attraverso la competenza e chi non è competente e chi non è competente è impotente e ridondante.

 

 

 

BREVE STORIA DEL TERMINE

 

Il termine bioetica è stato coniato intorno agli anni ’70 per indicare lo studio del comportamento umano in relazione allo sviluppo delle scienze della vita e mediche. La bioetica, intesa come sezione dell’etica, affronta problemi che vanno dall’ingegneria genetica alla tutela dell’ambiente. Essa hanno una spiccata vocazione interdisciplinare, in quanto coinvolge branche del sapere che vanno dalla medicina alla psicologia, dalla sociologia al diritto, dalla teologia alla filosofia. Che senso ha parlare di “bioetica”, cioè di un’etica della vita? Questa questione, e cioè la riflessione intorno alle conseguenze per la vita umana degli sviluppi delle scienze, non è appartenuta al mondo antico e nemmeno all’evo cristiano dei primi due millenni, almeno in questi termini. I due concetti: “etica” e “vita” persi isolatamente sono pregni di significato per la storia del nostro pensiero Occidentale, e sono stati oggetto della riflessione filosofica fin dagli albori. BioV = vita, ed ethos = costume o in latino “mos” sono stati – in modo separato, ma non senza collegamenti – oggetto del pensiero filosofico.  Si può dire che la filosofia è nata come tentativo di dare una risposta a domande del tipo: cos’è la vita?, quale la sua origine?,come si è formata? E ancora cos’è la giustizia? Può uno Stato essere giusto? Come devo comportarmi in relazione a me e agli altri? Domande note ad ogni studente di liceo che inizi lo studio della filosofia. Ma la combinazione dei due termini, sino a coniare una parola del tutto nuovo con un nuovo significato e che indica un nuovo ramo del sapere, è qualcosa di totalmente nuovo. Perché è stato necessario coniare un nuovo termine e con esso indicare un nuovo e specifico campo di indagine filosofica? Cosa è accaduto di tanto importante? Il progresso della scienza e della tecnica ad essa applicata che denota la nostra epoca ha fatto sì che la nostra conoscenza e più ancora il potere che da essa deriva giungesse fino alle radici stesse della vita ghermendone i fondamenti. E’ accaduto che la vita è stata fagocitata dalla ratio scientifica, cioè di quella ragione calcolante priva di fini e di telos (cf. Max Horkeimer, L’eclissi della ragione). Il dominio della tecnica sulla vita ci ha posto di fronte a domande e a pericoli che gli antichi nemmeno immaginavano: la bomba atomica, l’ingegneria genetica, la sperimentazione sulle cellule staminali – che ahimé sta realizzando paradossalmente il sogno nazista di una eugenetica - sono tutti aspetti completamente nuovi che investono i fondamenti stessi della vita umana. Insomma. Non solo la singola vita, o la vita di molti, ma la stessa vita in quanto vita viene messa in discussione dal progresso della tecnica. La bioetica nasce come tentativo di una risposta a questi problemi. Fin dove i progressi delle scienze possono essere trasformati in “possibilità” di vita? Ovvero, fin dove è possibile definire ancora umana l’azione dell’uomo dinanzi alle possibilità offertegli dalla tecnica?

 

 

BIOETICHE A CONFRONTO

la bioetica laica…

 

Esistono due orientamenti fondamentali della bioetica contemporanea: quella laica, e quella religiosa. Entrambe sono sia descrittive che normative. La prima, quella di tipo laico, si basa sull’atteggiamento di chi ragiona indipendentemente da Dio: etsi Deus non daretur. Essa ha al suo interno una molteplicità di posizioni che hanno come comun denominatore il principio della “qualità della vita”. Essa ritiene che la morale è un fatto umano e che è l’uomo (e non Dio o la natura) a stabilire le norme comportamentali. Tale concezione: 1) contrappone l’idea di cultura a quella di natura ritenendo che tutto è cultura, e che la natura essendo cultura dipende dalla volontà dell’uomo; 2) nega l’esistenza di valori assoluti che siano indipendenti dalla volontà degli individui; 3) essa pone come criterio di scelta non la “vita” in quanto tale ma la “qualità della vita”; 4) tale qualità della vita non è assoluta, ma viene stabilita di volta in volta. La bioetica laica tende a porsi come un’etica deontologica “prima facie” basata cioè su principi e valori che ammettono eccezioni. Inoltre, in caso di conflitto tra doveri, si ispira la principio “utilitarista” della benevolenza, ossia preferisce il dovere che, in una società data, massimizza i benefici e minimizza i danni.

 

…e quella religiosa

 

La seconda, quella religiosa, sia di orientamento cristiano che ebraico, ha anch’essa al suo interno una molteplicità di posizioni che hanno come catalizzatore un personalismo ontologico e teologico fondato sul principio della inviolabilità e sacralità della vita, il cui nucleo è la dottrina secondo cui la vita è un dono di Dio e perciò non appartiene all’uomo che ne è il vertice e custode ma non il padrone. La bioetica cattolica di indirizzo tomista, per es.  basandosi sulla creaturalità dei viventi e sul carattere metafisico e trascendente dell’uomo, afferma l’esistenza di un ordine immutabile che si manifesta nel creato, e scorge in tale struttura ontologica le è fonte del dover essere etico stesso. Essa è quindi avversa a pratiche “contronaturali” come l’aborto, l’eutanasia, etc. e tende a porsi come una bioetica normativa che si basa sul metodo triangolare, su di un metodo che da A una serie di informazioni scientifiche, B viste sulla luce di principi universali, C determina l’agire pratico.

La bioetica religiosa, indipendentemente dal credo di riferimento, tende a porsi come un’etica deontologica fondata su di una gerarchia di valori e di principi ritenuti fondanti l’agire pratico. Essa ponendo l’accento sul valore assoluto della vita e sulla sua intangibilità ritiene che non lo sviluppo delle scienze in sé, ma che dietro un indiscriminato utilizzo della tecnica si nasconde un progetto sull’uomo che anziché liberare l’uomo come pretende lo asservisce sempre più ai suoi psuedo-sogni liberatori. Inoltre, ritiene non solo che esiste una natura in sé indipendente dalla cultura, e quindi dall’uomo, ma che compito dell’uomo è di essere custode di tale nature intesa come creatura, piuttosto che suo assoluto padrone.