Pemptos

 

Mugghia il mare, incanutito

al soffio aspro dei venti”,

getta impietoso ‘l suo attrito

quasi fosse un sol colpo sui denti;

vasto e umido nel suo recinto

antico” e se solo ne senti

il battito, quest'unico istinto

che ancor ora lo tiene fermo,

gorgoglia nel suo labirinto,

come in letto duro da infermo.

Mugghia a note alterne un canto

- chi può ridire? - dritto, omeotermo

il logos quando frange, oh, incanto

sembra sulla innamorata banchisa

che tutto di lui beve. Intanto,

l'aria che smorza è tutta intrisa

di nettare e malvasia, pini

abbracciano un vento color ghisa

quasi stendardi in fila, catini

colmi di resina che in osmosi

con Eolo trovano i loro destini.

Altro dicono i versi pietosi,

le fredde strette della sintassi

quando i verbi duri, neghittosi,

inchiodano nella paratassi

l'ansimare, qui nell'ultimo fiato,

lo scritto che dorme sotto gli assi

- se carta per sé tiene il mandato -

di un legno ritinto, netto e morto.

Questo del poeta il duro fato: 

stringere zefiro e nel contorto

verso conservare solo le ossa.

Eppure, senza verbo può in orto

ritrovarsi l'inaudito, ché possa

il creato avere nome, pigghiari

forma e resistere alla fossa,

quando nel poeta germoglia in rari

cristalli l'eco dei passi di Dio?

Sì, perché Dante val più di Cacciari.