Opus incertum, il senso di una scelta
Opus incertum, è sicuramente il termine che meglio definisce tutta la mia opera, sia per i diversi stili che concorrono a costituirla: poesia, saggio di filosofia, sito web, video su you tube, lezioni liceali ed universitarie; sia perché vuole essere appunto una muraglia, un argine a questa “deriva” relativista e nichilista, che caratterizza il nostro tempo; deriva della quale, tra gli altri, parlava anche il poeta Luca Canali, intitolando proprio così una sua raccolta di versi, senza però aver compreso fino in fondo l’essenza della deriva stessa. Esso vuole, dunque, essere un argine all’esondazione del nichilismo e del relativismo, a quel processo di dissoluzione dei concetti di natura e di creatura, il cui esito oggi è sotto gli occhi di tutti: il dominio incontrastato della “tecnoscienza” e del “mercato” che rende tutto oggetto dei processi produttivi; che pianifica ed incrementa solo se stessa e il suo “Apparato”. Inoltre, vuole anche essere una barriera contro lo gnosticismo dilagante dell’ultramodernità, (vera essenza del nostro tempo, suo Zeit Geist e sua anima; ultramodernità, come preferisco chiamare questo tempo meschino, ultimo scorcio della modernità stessa), che pervade di sé ogni cosa e che, aiutato dalla tecnica, crea l’illusione dell’autosufficienza dell’uomo; quando, invece, l’uomo non è che un “animale razionale dipendente”, cioè un essere fragile e bisognoso della solidarietà della comunità, come lo ha ben definito A. MacIntyre; oltre che “persona”.
Questa è dunque una “Metafisica dei detriti”, costruita a partire appunto da quei detriti che il nichilismo ha lasciato sul campo, dopo la sua esplosione; “metafisica dei detriti” quindi, come suggerisce di chiamare il processo di costruzione di un organismo di pensiero solido e ben strutturato il filosofo russo Alexandr Kuprijanovič Sekačkij a partire dai resti che questo tempo di dissoluzione lascia alla Filosofia con la “F” maiuscola, nonostante i materiali usati siano appunto solamente dei detriti e le apparenze lascino credere che un immediato ordine non sia né nel pensiero né nell’essere.
In realtà, sta proprio nelle interconnessioni tra le parti, nel lavoro di costruzione e/o di ricostruzione di un sistema, che si erge, come opus incertum, la coerenza di tutta l’opera nella sua completezza, come avviene a chi guarda il tutto, sull’esempio di Pitagora, ripreso anche da Husserl, come un osservatore disinteressato allo stadio.
Opus incertum è anche strada, via, sentiero che conduce, non ad una radura, ma ad una meta, non è quindi affatto “erranza” ma “pellegrinaggio”, il cui topos ideale è il pellegrinaggio medievale; è, perciò, “sentiero religioso” verso, e nello, spirito del Cristianesimo.
Ma opus incertum è anche limes, cioè confine, linea di separazione tra interno ed esterno, senza cui nessuna vita può esistere. In ciò non c’è nessuna forma di razzismo; anzi, viene riaffermata la verità secondo cui “senza identità non c’è nemmeno relazione”. È affermazione di continuità storica, di destinazione, di fortezza, di preparazione di tempi migliori, come costruzione di comunità di idee e di destino, sulla scorta del detto di A. MacIntyre secondo cui “stiamo aspettando non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio diverso”.