II Lectio su S. Tommaso ciclo lectiones 2016

Filosofia teoretica/ III
MIRTO
Lezione II 8.11.216
Nella lezione introduttiva abbiamo diviso il corso in due parti: una parte riguarda l’ETICA, l’altra parte riguarda invece l’ANTROPOLOGIA FILOSOFICA.
Per quanto riguarda la parte sull’etica, il testo è quello di TOMMASO, La Felicita, sono alcune parti tratte dalla Summa Theologiae, prima secunda, questione una- quinta. Non faremo tutte e cinque le questioni: la prima, la seconda e qualcosa della terza.
Come sussidio c’è il testo di SOFIA VANNI ROVIGHI, Tommaso D’Aquino. È una monografia su Tommaso d’Aquino, un’introduzione, casa editrice Laterza.
La seconda parte, che riguarda l’antropologia filosofica ha per oggetto la struttura della persona umana. Come testo di riferimento è un corso di lezioni di EDITH STEIN, che tenne presso l’istituto delle domenicane, negli anni 30 ed è intitolato: “la struttura della persona umana”, casa editrice: Città nuova. Come sussidio, ALES BELLO, studiosa di Edith Stein che ha insegnato tanti anni alla Lateranense, ora docente emerito di filosofia. Studiosa italiana che ha approfondito questa filosofa.
Nella prima lezione, la volta scorsa, abbiamo prodotto le motivazioni per le quali il corso su Tommaso, non è un corso storiografico, ma TEORETICO, cioè la proposta che fa questo corso nel quale ha per oggetto questo autore è l’attualità di Tommaso rispetto ai problemi e alla crisi dell’epoca moderna e nella prima parte della lezione della volta scorsa, abbiamo trattato questi argomenti confrontando il pensiero di Tommaso o meglio, dando lo sfondo alla novità di Tommaso rispetto alle etiche moderne. Abbiamo trattato qualche aspetto della “Critica della Ragion Pratica” di KANT e ci eravamo promessi di trattare in questa lezione NIETZSCHE, non dal punto di vista di storia della filosofia, ma accennare ai punti critici rispetto ai quali Tommaso è attualissimo, sottolineare l’attualità di Tommaso rispetto alle problematiche della contemporaneità.
Dal punto di vista etico, viviamo una crisi, una crisi sotto agli occhi di tutti, una crisi che si manifesta dell’EMOTIVISMO ETICO che è l’equivalente del relativismo e del nichilismo.
Che cosa è l’emotivismo etico?
Emotivismo significa semplicemente che i giudizi di valore che si fondano su un’emozione, e poiché l’emozione è qualcosa di intimo, specifico, autonomo e personale, non può essere giudicato. Cioè, non esiste un criterio esterno, altro per giudicare un ‘affermazione fondata su questo principio, il principio emotivista.
Questo è il senso della nostra crisi, perché da questo punto di vista, ecco l’aspetto relativista dell’emotivismo, tutti i giudizi di valore sono equivalenti, in quanto sono fondati sull’ IO EMOTIVO che di volta in volta emerge. Questo significa, che questo io emotivo che emette questi giudizi di valore, non è detto che è lo stesso nel corso del tempo, cioè se io oggi esprimo un giudizio di valore dal punto di vista emotivista, rispetto a qualunque realtà, non è detto che io sia tenuto ad essere coerente con questo giudizio, potrei emettere un altro giudizio anche tra dieci minuti, completamente diverso, perché fondato su emozioni diverse. L’io- emotivo è estremamente soggettivo, infatti l’emotivismo non è l’aspetto Kantiano, è l’aspetto attuale che viene dalla dissoluzione della filosofia Kantiana. Quindi, l’emotivismo è questo ed è la tonalità fondamentale del nostro tempo in cui tutte le prospettive sono equivalenti, tutte le
posizioni sono equivalenti perché sono fondate sull’io-emotivo, il quale io non è una struttura ontologica, non è una sostanza, un’essenza, una natura, ma è qualcosa che può cambiare, che può modificarsi. È l’equivalente di quello che ZIGMUNT BAUMAN ha chiamato “la società liquida”, non esiste solo la liquidità dei rapporti interpersonali; esiste anche la liquidità dell’IO che non è detto che debba essere sempre lo stesso, ma tutte queste sono conseguenze della dissoluzione del pensiero nietzschiano all’interno del paradigma del razionalismo che ha il fondamento in KANT.
Nietzsche non ha un obiettivo chiaro, ma la sua critica ai valori avviene all’interno del paradigma radicale, quindi noi da questo punto di vista, al di fuori del fenomeno della dissoluzione, siamo in grado di cogliere questo scontro tra Kant e Nietzsche. In effetti, l’obiettivo di Nietzsche non è Kant, ma Socrate, come emerge nella nascita della tragedia, come emerge in alcuni aforismi; ma il senso profondo è lo stesso.
Questo è ciò che avevamo fatto, ma io riprenderò alcuni temi della filosofia kantiana e oggi concluderemo con alcuni punti del pensiero Nietzsche. Successivamente studieremo alcuni aspetti, soprattutto quello antropologico e quello etico del pensiero di Tommaso. E poi studieremo il testo, soprattutto la struttura delle questiones, sul perché Tommaso produce testi con questo genere di architettura e che senso. Poi analizzeremo il testo.
D: QUALI SONO GLI ESPONENTI DELL’EMOTIVISMO?
R: Già Nietzsche può essere interpretato in questo senso. Tutte quelle posizione che vengono dopo ad autori che giustificano il comportamento morale da questo punto di vista, sono riconducibili a questo paradigma emotivista. Parlare di paradigma emotivista non significa che esiste la scuola emotivista, ma esiste una serie di autori che in abito etico affermano la relatività del piano etico e quindi possono tranquillamente essere riportati nel paradigma emotivista.
Parlammo, la volta scorsa della filosofia kantiana, come l’orizzonte all’interno del quale avviene questo processo di dissoluzione. Perché Kant? Perché tutto il processo della modernità, della prima modernità, trova in Kant una cristallizzazione che ci permette di poter comprendere meglio le cose. Il processo che era iniziato col soggettivismo cartesiano, cioè con la fondazione del sapere sul soggetto e non più sull’oggetto, trova pienamente in Kant la strutturazione filosofica della così detta “RIVOLUZIONE COPERNICANA” operata in filosofia. Cioè, non è più la realtà che è il fondamento e il soggetto che si adatta alla realtà, ma è la realtà che dipende dal soggetto, sia nell’ambito della conoscenza teoretica che nell’ambito dell’etica.
Questo è il senso della rivoluzione copernicana di Kant e noi vedemmo che anche nell’ambito dell’etica si può parlare di “Rivoluzione Copernicana”. In che senso?
Nel senso che Kant aveva definito “buona” non l’azione che tende ad un bene oggettivo, ma quella volontà che mira verso l’universale.
Cioè, cosa è successo? Il bene, almeno fino alla scolastica, la bontà era una proprietà dell’ente, cioè era un trascendentale: “ogni ente è buono in quanto è creato da una somma bontà che è Dio”: questo processo è comune a tutta la storia della filosofia, anche se non si parla, presso i greci di creazione.
Il concetto di “trascendentale, è un concetto che si riferisce alla cosa. Se noi possiamo dire che nella filosofia classica, e nella filosofia classica c’è tanto la filosofia greca
quanto la filosofia medievale, il conoscere, l’agire si misurava sulla cosa che aveva delle proprietà proprie che venivano colte dal pensiero. Sia la CONOSCENZA era un cogliere l’evento universale nel particolare (vedi Aristotele), sia l’AGIRE. Nel modo di pensare classico ci si uniformava alla cosa, ci si lasciava guidare dalla cosa che aveva delle proprietà proprie. Nel linguaggio medievale si diceva “l’ente ha delle proprietà che sono proprie, sono sue”: OMNE ENS EST BONUM, OMNE ENS EST UNUM, OMNE ENS EST VERUM: ogni ente è vero, ogni ente è buono, ogni ente è uno.
D: Prof. non ho capito niente?!
R: volevo dire, volevo cercare di tracciare la cesura che c’è tra il PENSIERO CLASSICO e il PENSIERO MODERNO.
Il pensiero classico comprende sia il pensiero antico, quindi quello GRECO e sia il pensiero MEDIEVALE, la scolastica. Con tutte le differenze che ci sono tra i greci e il pensiero cristiano, perché il concetto di creazione, non è un concetto che viene dalla ragione, ma è un concetto che ci viene dalla Rivelazione biblica e attraverso il pensiero biblico entra nella filosofia. I greci non hanno mai pensato in termini di creazione, perché per i greci “EX NIHILO, NIHIL FIT”: “dal nulla viene fuori nulla”; quindi l’idea di creazione non appartiene alla mentalità greca. Però, di comune tra i greci e i medievali, c’è che conoscere e agire significa adeguarsi alla natura dell’ente.
Cosa è l’ente? È indipendente da me, dalla mia volontà e dalla mia intelligenza, anzi, quanto più mi adeguo alla natura della cosa, tanto più la capisco. Questo perché la cosa, cioè l’ente ha delle proprietà proprie che non dipendono dal fatto che il qui presente decide che la natura di quella cosa è così. La natura di quella cosa si riflette nel pensiero e io agisco, rispetto a questo, in base all’aver saputo ciò che quella cosa è. CONOSCERE significa sapere ciò che quella cosa è. Il pensiero scolastico ritiene che conoscere significa comprendere che cosa è quell’ente, rispondere alla domanda: “CHE COSA È?”, “TÌ ESTÌ?”, rispondere alla domanda che cosa è, significa coglierne l’essenza, conoscere significa comprendere l’essenza, cogliere l’essenza dell’ente è un atto di intelletto, è un atto del pensiero.
Conoscere significa che il proprio intelletto si adegua alla natura della cosa.
La cosa importante di tutto questo discorso è una sola:
- il pensiero classico ritiene che conoscere significa sapere la natura di quella cosa, fusis. Conoscere significa adeguare il proprio intelletto alla cosa (Tommaso) e vero è quel pensiero che dice come sta la cosa. Ad esempio: questo è un pennarello, è un’affermazione vera perché questo è un pennarello; cioè l’essere pennarello del pennarello viene colto dal pensiero e io dico questo è un pennarello e lo traduco in un giudizio, una proposizione. Questa è la forma di pensiero.
Ora la cesura della modernità emerge in una maniera cristallina in Kant. È essenzialmente il ribaltamento del rapporto tra il pensiero e l’essere, per tradurlo in un linguaggio moderno, tra il soggetto che è il COGITO (direbbe Cartesio) e l’oggetto che è RES EXTENSA (direbbe sempre Cartesio). I greci parlavano di pensier e essere, i moderni parlano di soggetto e oggetto, fino ad un certo punto, perché poi questo linguaggio viene anche abbandonato dal pensiero contemporaneo.
Qui c’è stato già un ribaltamento perché non è più il pensiero nel quale si riflette l’essere, ma il soggetto che detta all’essere il suo stesso essere. Cioè, ciò che l’ente è non è più l’essere dell’ente, ma ciò che il pensiero attribuisce all’ente.
In KANT quella che si chiama la “RIVOLUZIONE COPERNICANA” che Kant opera si nell’ambito della conoscenza che nell’ambito dell’agire pratico, accade che la cosa si deve adeguare al pensiero e alle sue forme a priori, alle sue categorie.
La modernità è essenzialmente questo, questo che è chiamato da Kant nella prefazione alla seconda edizione della critica alla ragion pura, RIVOLUZIONE COPERNICANA operata in filosofia e cioè che:
non è più il soggetto a doversi adeguare all’oggetto, ma è l’oggetto che nel momento in cui viene riconosciuto, si adegua alle strutture a priori del soggetto, strutture che sono universali e necessarie, che ci sono in Kant e non più in Nietzsche.
In ambito morale accade la stessa cosa e lo vediamo nel cambiamento di significato che assume il concetto di TRASCENDENTALE dalla scolastica a Kant.
- nella scolastica, trascendentale ha a che fare con le proprietà dell’ente, con le proprietà della cosa, la cosa è una, la cosa è vera, la cosa è buona.
- nel pensiero kantiano, trascendentale cambia completamente significato non ci dice più le proprietà dell’ente in quanto ente, trascendentale ha a che fare con il soggetto. Proprio nella critica della ragion pura Kant dice: “chiamo trascendentale non la conoscenza a priori, cioè senza l’esperienza delle cose, ma la conoscenza del nostro modo di conoscere le cose, in quanto questa è possibile a priori”. Cioè senza esperienza io nn posso conoscere le cose, qui Aristotele e Tommaso sarebbero d’accordo, però Kant dice io posso conoscere a priori, senza l’esperienza, e ho il mio modo di conoscere. Ad esempio: io posso anche conoscere come funzione un computer, mi leggo le istruzioni e non lo accendo proprio, significa a priori, senza averlo acceso, senza esperienza. Ma che cosa ho conosciuto? Se il computer è la metafora del mio cervello, della mia intelligenza, io ho conosciuto solo il mio modo di conoscere le cose, ma non ho conosciuto l’essenza delle cose. Si cancella completamente tutto: si cancellano le dimostrazioni dell’esistenza di Dio, sia quelle razionale, le cinque vie di Tommaso, si cancella un modo di fare filosofia e se ne istituisce un altro. Non lo ha inventato Kant, è iniziato molto tempo prima e ha trovato il suo vulcano in Cartesio con il SOGGETTIVISMO MODERNO.
Però tutti questi autori quando parlano di ragione, parlano di RAGIONE UNIVERSALE, Kant è il filosofo dell’illuminismo, la ragione è una, se noi pensiamo secondo un modo razionale che ci appartiene in quanto umano. Il problema di Kant è di fondare questa ragione su se stessa, non su Dio, su se stessa e lo notiamo nell’ambito della morale e cominciamo a vedere il perché il progetto kantiano crolla e perché la denuncia della crisi fatta da Nietzsche ha un senso.
In ambito morale, dice Kant, buona è la volontà non perché è una cosa buona ma perché tende all’universale. La mia volontà è buona se è razionale, se tende all’universale, non è buona se si uniforma ad una cosa buona perché non esiste una cosa buona in se, è la mia volontà che è buona non perché obbedisce ad una legge, decalogo, principi… ma è buona perché segue la sua stessa legge che è quella di essere razionale. Questo è Kant: la bontà di un’azione non si misura sulla bontà di una cosa, ma si misura sul fatto che questa volontà che è la capacità che la ragione ha di scegliersi un obiettivo e di raggiungerlo tende all’universale, cioè può essere valida x tutti. In questo senso si dice che l’etica kantiana è un’etica auto-fondata, un’etica AUTONOMA che deriva da due parole greche: AUTOS=stessa e NOMOS=legge. La ragione è autonoma perché la
ragione da leggi a se stessa, si giustifica da sé perché non è la mia ragione personale, ma il mio agire tende all’universale.
La grande diversità del pensiero antico e il pensiero moderno sta in questo essere auto-fondativo della ragione nell’ambito morale. Quindi, nell’agire pratico la ragione detta a se stessa le leggi dell’agire che non sono cose da fare o da non fare, ma sono dei criteri, formule matematiche universali, di modo che io so se quello che sto facendo è morale o meno, se corrisponde a quelle formule che Kant chiama formule dell’imperativo categorico.
#Tutto questo non sarà tema d’esame perché io non vi interrogherò su Kant ma è un fondamento al nostro discorso.
La modernità si presenta sotto questo punto di vista e si presenta in maniera chiara nell’illuminismo, cioè in quel progetto di emancipazione della ragione umana , da tutto ciò che è autorità, religione, eteronomia, la ragione vuole essere legge a se stessa.
All’intero del paradigma Kantiano, possiamo dire che kant si contraddice perché
1) il legalismo Kantiano non ci dice perché io dovrei comportarmi in un certo modo. Esempio: dice Kant che la seconda formula dell’imperativo categorico dice “agisci in modo da trattare l’umanità che è in te e negli altri come fine e mai come mezzo” e perché? Io posso anche decidere di trattare l’umanità che è negli altri come mezzo. Allora, non sarebbe una norma universale però non è fondata. Infatti kant che cosa fa?
Si rende conto che c’è un grande limite nel suo progetto kantiano e alla fine avrà bisogno di parlare di IMMORTALITÀ DELL’ANIMA, di DIO, anche se il dio di Kant non è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe (il dio di Pascal), ma è un’entità che non è persona, ma un ente; e di LIBERTÀ.
1) Immortalità dell’anima
2) Esistenza di Dio
3) Libertà
POSTULATO= è qualcosa che non si può dimostrare, ma tolto questo cade tutto. Tutta l’etica kantiana si fonda su questi tre postulati. Postulati significa che Kant non li può dimostrare, ma se li toglie la sua etica crolla.
Perché se togliamo la LIBERTÀ, nessuna azione è imputabile a nessuno, infatti io x poter essere responsabile delle mie azioni devo essere libero di scegliere, se non posso scegliere io non sono responsabile delle mie azioni. Ma la liberta non si può dimostrare perché lui aveva detto che l’unica conoscenza scientifica è quella che riguarda la scienza della natura, l’unica conoscenza vera è quella che riguarda la conoscenza della natura, ma nella natura tutto è necessità: un pennarello o se mi butto giù i corpi sono soggetti alla forza di gravità. Tutto ciò che accade in natura, accade secondo una legge necessaria. Non esiste nessun esperimento che può dimostrare e farmi conoscere la libertà, la libertà appartiene a una cosa che non posso dimostrare, ad un mondo che non conosco che Kant chiama MONDO NOUMENICO. Io posso conoscere solo il FENOMENO delle cose e qui non c’è libertà, la libertà sta nel noumenico. Ma se non c’è liberta, non posso parlare di morale, dunque la postulo. Se non c’è libertà, che in scolastica si chiama libero arbitrio, non c’è morale. Ma nel ragionamento kantiano visto che non c’è Dio che cre l’uomo libero a sua immagine e somiglianza, Kant appoggia tutto su un postulato senza il quale, non esisterebbe vita morale.
POSTULATI DELLA RAGION PRATICA
IMMORTALITÀ DELL’ANIMA. Se il compito etico è quello di tendere all’universale, alla legge morale perché io faccio un’azione, questa azione è morale se tende all’universale però io faccio l’esperienza che io voglio l’universale, ma in realtà non ci riesco, non riesco a realizzarlo. Voglio realizzare la legge morale, ma nn ce la faccio. Voglio essere virtuoso, ma sono un grande egoista, perché le mie passioni soggettive confliggono con la ragione universale, dice Kant, che è un protestante, che al limite solo il santo è colui che vuole l’universale. Ma i santi x i protestanti non esistono, quindi, questo è un caso limite. Solo nel santo la mia massima corrisponde alla legge, ma in realtà non è così, in realtà c’è sempre uno scarto tra la mia volontà e la legge universale, questa è virtù.
Se io realizzassi perfettamente la legge morale sarei virtuoso, ma questo non riesco a farlo. Nella vita io sforzo a comportarmi bene e alla fine muoio e non ci sono riuscito, ma chi me lo fa fare. Se io già so che non posso realizzare la virtù, che senso ha realizzare la virtù. Se io già so che c’è questo conflitto tra ragione e i sentimenti, la passione che è quello che io voglio per me egoisticamente e la legge universale che è per tutti, c’è sempre questo conflitto.
Innanzitutto, per Kant di anima non si può proprio parlare, non è oggetto di conoscenza, è un’idea della ragione, ma non è oggetto di conoscenza, però Kant dice che deve postulare l’immortalità dell’anima perché all’infinito io finalmente riesco ad essere virtuoso. Questa è l’immortalità dell’anima. Cioè in un tempo infinito io devo poter realizzare la legge morale, perché se non riesco a realizzarla mai, io a priori decido di non essere virtuoso; se lo faccio significa che devo avere in prospettiva l’idea di riuscire a realizzarlo. Devo pensare che la vita si attacchi a qualcos’altro dove alla fine io riesco a realizzare la legge morale, la mia volontà combacia con la ragione. Questo è un postulato, si postula che l’anima è immortale perché io abbia un motivo per tendere alla virtù. Questo servo solo ad avere un idea per cui agire bene nella vita mortale, per poi realizzare la virtù. La virtù si realizza in un tempo infinito, non nella vita terrena perché qui c’è sempre uno scontro tra la massima soggettiva e la legge universale.
Ci sono già delle contraddizioni nel pensiero kantiano che emergeranno in Nietzsche che critica il concetto di ragione.
Manca una cosa. Abbiamo dimostrato che alla fine si può raggiungere la virtù, ma io devo anche essere sicuro di questa equazione:
VIRTÙ = FELICITÀ
Già Aristotele aveva detto che l’uomo tende alla felicità (EUDAMONIA).
Fino adesso, io sono libero, tendo all’universale, diventerò virtuoso e chi mi garantisce che la virtù coincide con la felicità? Essere virtuosi costa, fa soffrire, è uno sforzo perché l’agire etico è un agire secondo ragione che confligge con l’istinto, questo è costante anche col pensiero moderno. Ho bisogno di qualcuno o di qualcosa che mi garantisca che il raggiungimento della felicità si ottiene realizzando la virtù:
DIO. Ma Dio è un postulato, era stato già cancellato nella parte finale della Critica della ragion pura come qualcosa di cui non si può dimostrare l’esistenza, di Dio non si può dimostrare né che esiste né che non esiste, non è oggetto di conoscenza scientifica, non è oggetto di conoscenza. Ma ora Kant lo postula, e questa è una contraddizione che emerge in maniera chiarissima nel pensiero Kantiano.
Tutto questo che è una cornice di tutto il ragionamento che stiamo facendo, viene smontato da Nietzsche. Egli è la denuncia, la contraddizione di fondo del razionalismo in cui la ragione fonda se stessa.
NIETZSCHE
L’idea di N. era superare a modo suo questa crisi, però dal mio punto di vista la medicina che N. prescrive all’Occidente è peggiore della malattia che aveva. A noi N. non interessa per la terapia che ci da, perché la terapia che da ‘è l’abbiamo sotto gli occhi: noi viviamo in un’epoca del nichilismo compiuto. Interessa però l’aspetto di denuncia implicita di questo modello che c’è nel pensiero di N. Tutto questo per dire che la risposta a questi due modelli è TOMMASO che non significa essere retrò ma significa avere la forza titanica di risolvere con il ritorno alla tradizione del pensiero filosofico cattolico tomassiano tutta una serie di problemi che stanno sotto agli occhi di tutti. Questo lo dicono degli autori contemporanei quali: TAYLOR, GALEAZZI, MACHINTYNE, POSSENTI. Sono autori che dicono che Tommaso è estremamente interessante.
• KANT XVIII secolo
• NIETZSCHE XIX secolo
• TOMMASO XIII secolo (dietro Tommaso c’è Aristotele e Agostino)
C’è una cosa che Kant e Nice non hanno più il FINALISMO cioè il TELOS=FINE, cioè l’agire umano ha un fine che lo trascende, questa è l’idea che c’è Dio.
Di Nietzsche leggiamo un frammento di un opera di N. che si intitola la “Gaia Scienza” che appartiene al cosiddetto periodo “illuministico” ma che non ha niente a che fare con l’illuminismo, quando si separa dalla sudditanza a Schopenhauer e Wagner e va alla ricerca di mete nuove.
In questo aforisma e come se N. dicesse che questa RAGIONE UNIVERSALE di cui parla Kant non si fonda su niente, è una parola vuota, non c’è niente dietro, non esiste una ragione universale. Facciamo una cosa, pensiamo questa ragione e diciamo che dietro c’è il singolo soggetto che deve essere cancellato e deve essere superato dal SUPER-UOMO (oltre uomo) e sostituiamo all’essere la VOLONTÀ. e come se questa ragione universale non fosse nient’altro che quello che c’è nella testa, ma quello che c’è nella testa che io chiamo RAGIONE non è altro quello che rimane del conflitto degli istinti, forze che ci sono e che confliggono dentro di me, come se N. volesse dare ragione al corpo, conflitto di istinti.
AFORISMA 335 “LODE ALLA FISICA”:
Limitiamoci allora alla pulizia delle nostre opinioni e dei nostri giudizi di valore e alla creazione di tavole di valori che siano nuove e propriamente nostre, senza stare più a rimuginare sul «valore morale delle nostre azioni»! Sì, amici miei! È giunta l'ora di provare nausea per tutte le chiacchiere morali degli uni sugli altri! Istituire tribunali morali ci deve sembrare contrario a ogni gusto! Lasciamo stare queste chiacchiere e questo cattivo gusto a coloro che non hanno nient'altro da fare se non trascinare il passato per un altro po' e che non sono mai presente - cioè ai molti, ai più! Noi però vogliamo divenire coloro che siamo;- nuovi, unici, incomparabili, legislatori di noi stessi, creatori di noi stessi!
N. ha smontato la pretesa di universalità della ragione e la ragione nn ha niente a che fare con la dimensione della corporeità, come luogo di conflitto degli istinti. Dunque, eliminiamo questa ragione e lasciamo soltanto questo. Anche se l’idea di N era quella di un super-uomo sul modello di Napoleone o dell’eroe della antica Grecia. Oggi ci troviamo in un contesto in cui il super uomo nietzschiano è venduto nel centro commerciale. Ognuno di noi si modella come vuole. Il pensiero di N, se nella prima fase la filosofia è in un certo modo, vedi la filosofia di N fautrice del nazismo,ad un certo punto N è stato recuperato dal pensiero debole e oggi lo troviamo a disposizione di tutti per poter dare un fondamento. Negli ultimi anni di insegnamento, N è il filosofo più ricercato, bramato e desiderato dagli studenti perché N da un fondamento a questa tonalità e sentimento del nostro tempo, cioè ognuno è legislatore di se stesso.
Se in Kant la ragione era universale e legislatrice di se stessa, la ragione umana non aveva bisogno di niente e di nessuno;
in N la ragione è quello che rimane del conflitto degli istinti, è ciò che permette alla vita umana di andare avanti, è un “menzogna necessaria”, diventa razionale perché è ciò che ha permesso al genere umano di andare avanti nella lotta x la vita. La vita dice N. è un conflitto senza senso, è un agire conflittuale tra forze opposte che non vanno da nessuna parte, il caos. Dice N, da questo caos noi nn dobbiamo fuggire, ma dobbiamo rispondere con maggiore forza, violenza, efferatezza. Questo è il senso del pensiero nietzschiano: se la vita è sofferenza, noi viviamo con sofferenza. Il parto della donna non è conseguenza del peccato, la vita è dolore, ma al dolore della vita noi non fuggiamo; ma al dolore noi rispondiamo con maggior dolore, alla sofferenza rispondiamo con maggiore sofferenza, alla violenza rispondiamo con maggior violenza. Ecco perché c’è la figura del super- uomo: colui che agisce al di là del bene e del male. Non agisce in modo morale, ma a-morale. L’unica cosa che conta è l’accrescimento della volontà che vuole se stessa, la VOLONTÀ DI POTENZA, perché l’essere è volontà: più incremento la potenza, più sono un super-uomo. Quello che conta non è l’uguaglianza, ma il conflitto, la violenza che è nell’ordine delle cose.
La pazzia di Nietzsche non è solo fisiologica, ma anche filosofica perché esprime la modernità. Fisiologicamente è conseguenza di un’infezione contratta, la sifilide. Ma la pazzia di Nietzsche esprime l’essenza della modernità, noi ci troviamo in un’epoca di profonda follia.