Decatos

 

Non dice parola, ma della notte

la gola ha soltanto un velo

dove vanno a dormire a frotte

le nuvole e mugolii a pelo

s'avvertono, quando sfinito ‘l giorno

sembra l'ombra fugace d'uno stelo,

l'orlo o, forse, solo il contorno

dei nostri sogni. Ma il canto

d'un gabbiano, che la scia del ritorno

ha perso, credendo mare il manto

d'una discarica, stride nell'aria,

si mesce a Didone e al suo pianto,

quasi fosse l'acuto d'una caria

o il bacio ovattato dell'onda

che se ne va a morire da paria

quando – sulla banchisa si fionda

nel cimitero delle conchiglie

e il fragore è passo di ronda.

Vado su questo tappeto di biglie

che la schiuma ha appena donato,

che i flutti nevrotici a striglie

rimuovono delle alghe sul prato

come i pezzi d'una scacchiera

quando l'abisso getta il suo fiato

e la fila di canne una fiera

che ruggisce pare or che s'avventa

o di militi greci la schiera 

a Maratona – muraglia! - Ma lenta

nella risacca si spegne la brezza,

vita che a vivere sempre stenta

di cui neppure Mohs la durezza

conosce, che ti porti nella mano

stretta, oramai, da lunga pezza,

perché sempre segui il sogno vano

che questa sia la pietruzza bianca

ch'è promessa al vincitore sano

della Chiesa di Pergamo. E sfianca

questa battaglia, qui al guado dello

Yabbok, come Giacobbe rotta l'anca

per essere forte solo son l'Agnello

di Dio, e in Lui di Giuda

il Leone solo trovare ostello.

“Quale altra è la verità cruda?”

ripete l’onda che sbatte testarda

il suo canto sulla roccia nuda.