La Mistica come ultima filosofia, eppure, filosofia prima, in Edith Stein
In un interessante saggio sulla filosofia di Husserl, il filosofo tedesco Franz Joseph Wetz[1] dà il seguente titolo ad un capitolo del suo saggio su Husserl: Filosofia ultima e, tuttavia, penultima filosofia, intendendo definire con questo termine sia lo sforzo con cui Husserl ha tentato di dare un senso definitivo alla sua fenomenologia trascendentale presentandola come scienza rigorosa, e sia il fatto che la stessa fenomenologia non ha concluso il lungo iter della ricerca umana intorno ai fondamenti e al metodo che ne permette di cogliere appieno l’essenza. Ci è parso che questo termine potesse prestarsi ad esprimere ciò che viene qui inteso come l’iter filosofico della Stein, nel senso che dalla sua tesi sull’empatia fino allo scritto su S. Giovanni della Croce ci pare di cogliere due aspetti fondamentali. Da una parte un lungo cammino di ricerca il cui filo conduttore, la trama essenziale, è quella che si può tranquillamente chiamare una “fenomenologia dell’empatia”, e che è il contributo irrinunciabile dato dalla Stein alla storia della filosofia; e, dall’altra che proprio l’approdo ad una fenomenologia della mistica risulta essere l’esito conclusivo filosofico – esistenziale cui giunge il pensiero della filosofia di Breslavia. Ecco perché ci è sembrato calzante l’utilizzo di questo titolo per questa breve ricerca sulla mistica in Edith Stein, appunto perché questo è l’approdo naturale le sui premesse erano già presente negli esordi stessi del suo pensare filosofico.
Dobbiamo ora meglio chiarire il termine di “filosofa ultima” utilizzato come titolo per questo scritto. Aristotele nella Metafisica definì la filosofia come scientia scientiarum, il cui compito era quello di indagare la natura dell’ente in quanto ente a prescindere dalle determinazioni che esso di volta in volta acquisiva.
La prima cosa intorno a cui dobbiamo riflettere è il titolo stesso dell’opera: Scientia crucis Studio su san Giovanni della croce. Notiamo subito che la Scienza della croce non può essere separata dalla comprensione del modo in cui questa è stata vissuta dal santo di Duruelo. Edith Stein sottolinea, a tale scopo, che un altro aspetto estremamente importante. Il cognome religioso scelto da S. Giovanni della croce all’inizio della Riforma non conteneva solamente la radice profonda della vocazione del santo, ma in quanto cofondatore, assieme a Santa Teresa di Gesù, della Riforma degli Scalzi, conteneva anche la misura del carisma formativo e costitutivo di come sarebbero dovuti essere i frati. È come se S. Giovanni non avesse vissuto il carisma solo per sé, ma per tutto l’Ordine, ed in special modo per i frati. “Con esso” dice la Stein, riferendosi appunto al suo cognome religioso, “si sottolineava inoltre una caratteristica essenziale della nuova Riforma: imitazione di Cristo, sulla via della croce, partecipazione alla croce di Cristo, che avrebbe dovuto costituire la norma di vita dei Carmelitani Scalzi”[2]. La cosa diviene ancora più comprensibile quando si ascolta ciò che la stessa S. Teresa Benedetta della croce (Edith Stein, secondo il suo nome religioso) dice del modo in cui debba essere inteso il termine “Scienza della croce” quando afferma che Innanzitutto qui “non si tratta di una teoria”, ovvero di un insieme di enunciati vere intorno ad un ente ben definito, la croce nella fattispecie. “Si tratta, invece, qui di una verità già ammessa – una teologia della croce – ma che è una verità viva, reale ed attiva seminata nell’anima come un granello di fumento, vi getta radici e cresce, dando all’anima un’impronta speciale e determinante nella sua condotta al punto da risultare chiaramente discernibile all’esterno” [3]. Intesa in questo senso la scienza della croce si fonda sulla conoscenza, biblicamente intesa, della croce. Conoscenza che in ebraico non esprime solamente un sapere concettuale, ma anche e soprattutto un sapere determinato dalla frequentazione. In questo senso la beta Vergine Maria usa il termine “conoscere” quando rispondendo all’Angelo dice: “Com’è possibile non conosco uomo”[4]. Così va intesa la dottrina del N. S. P. Giovanni della croce, e in questo senso Edith Stein si chiede come sia possibile una scienza di tal genere.
Ella parla di una sorta di realismo dei santi che consiste in una “nativa ricettività interiore della loro anima, rinata sotto l’azione della grazia”[5]. Tanto per rimanere in tema nel santo in genere si verifica esattamente – ovviamente in grado inferiore - ciò che si è verificato nella Madonna quando la Sacra Scrittura di Lei dice: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”[6]. L’anima avvicinata dalla verità della fede l’accoglie, fondendola alla sua anima, “non appena l’energia vitale dell’anima santa accoglie in questo modo la verità della fede, questa arriva alla Scienza dei santi. E quando è il mistero della croce a darle la sua fisionomia interiore, eccola giunta alla scienza della croce”[7]. Questo è il primo elemento costitutivo individuato da Edith Stein.
Il secondo elemento che riguarda la scienza della croce del N. S. P. san Giovanni è consistito nell’ambiente, favorevole alla fede, che egli ha incontrato fin dalla tenera età. Dico fede intendendo una fede vissuta di cui era intriso l’ambiente familiare del giovane Giovanni di Yepes. Infatti, la Stein afferma che “quando le realtà spirituali aventi per oggetto la salvezza sono penetrate sin dalla più tenera infanzia e in forme appropriate dentro un’anima, le basi di una futura vita santa si possono dire già bell’e gettate” [8].
Infine, nel caso di san Giovanni della croce, va notato, come terzo elemento “la sua natura artistica sia come artista figurativo che come poeta, tant’è vero che i suoi scritti mistici non sono che delle spiegazioni supplementari, aggiunte all’immediatezza dell’espressione poetica”[9]. Elemento, questo, del tutto imprescindibile, poiché nel campo vergine dell’impressionabilità esiste una perfetta coincidenza tra il bambino, il santo e l’artista.
Esiste, quindi, una certa somiglianza tra queste tre figure, che in san Giovanni della croce troviamo condensate nella struttura della sua persona; anche se l’impressionabilità dell’artista risulta essere selettiva; infatti, nell’artista, “appena una cosa lo tocca interiormente gli si materializza dentro un’immagine che esige di essere formulata anche all’esterno”[10]. In più, ogni opera artistica risulta essere anche un potente simbolo. Dice la Stein che “ogni autentica estrinsecazione artistica è una specie di rivelazione, e ogni creazione artistica una forma di servizio divino”[11]. Certo, non basta aver dipinto un crocifisso – quanti artisti l’hanno fatto – è necessario conformarsi a Cristo figurato nell’opera, sia essa un quadro o una poesia. Ora, S. Giovanni della Croce possiede tutti questi elementi, essi sono stati il terreno in cui è stato seminato il messaggio della Croce che, sviluppatosi dall’interno, germinando ha prodotto quel mirabile edificio che è la sua Dottrina della Croce. Ecco qui già delineato il compito che la Stein, con la sua analisi si prefigge: comprendere i luoghi esistenziali dove è stato seminato questo messaggio, le vie scelte dal Signore e, successivamente la dinamica dell’elaborazione della sua Dottrina fenomenologicamente intese nel loro stesso prodursi dalla comprensione e dall’analisi che la Stein ne fa. Passiamo, ora, seguendo la Scientia Crucis, all’analisi di questi luoghi.
Il messaggio della Croce
Il primo di questi “luoghi”, nei quali il N.S. P. Giovanni ha avuto modo di recepire questo messaggio è stato analizzato nel capitolo intitolato: Precoci incontri con la Croce. Innanzitutto il crocifisso della Chiesa di Fontiveros, sua città natale, in Spagna, dove si recava da piccolo con la madre, poi quello che Stein chiama “il mistero della Grazia efficiente” il che significa che “ possiamo supporre anche che Maria stessa abbia insegnato molto presto al suo protetto la Scienza della Croce”[12]. Poi, il crocifisso nella bottega dove lavorava, al di là delle congetture possibili si nota l’effetto di questi precoci incontri “nel fatto sicuramente attestato del suo eccezionalmente precoce amore alla penitenza e alla motificazione”[13]. Inoltre, quella pr3ecoce e profonda scuola della croce che è stata l’assistere i malati presso lo Hospital de las Bubas. Qualunque fosse la natura di quelle malattie “sta di fatto – conferma Edith Stein – che il ragazzo ha imparato a riconoscere nei suoi pazienti non solo le malattie corporali, ma anche le miserie spirituali e morali”[14] dove va ricercata la radice che spinse il santo a questo servizio? Ovviamente nell’amore che egli nutriva per il crocifisso e nel suo più intimo desiderio di seguirlo lungo la via stretta, nel suo desiderio di conformarsi sempre di più ad esso.
Il messaggio della Sacra Scrittura
Tutto l’arco della sua vita è caratterizzato dalla frequentazione della Sacra Scrittura, sia prima di entrare nell’Ordine (le prediche, il Catechismo, la Liturgia), sia dopo. Infatti, “presso i carmelitani l’insegnamento quotidiano della Sacra Scrittura era all’ordine del giorno”[15]. La formazione umana e la vita carmelitana di S. Giovanni della Croce sono a tal punto intrecciati con la Sacra Scrittura che “siamo autorizzati a pensare che il messaggio della croce contenuto nella parola di Dio abbia permeato la sua vita intera, suscitando sempre nel suo cuore nuova eco”[16]. Qual è, dunque, questo messaggio?
Il sacrificio della S. Messa quale esperienza formativa dell’assimilarsi alla croce
Quale esperienza formativa dell’assimilarsi alla croce, indubbiamente, la S. Messa occupa nella vita del santo un ruolo prioritario. Essa è infatti il rinnovarsi del mistero della passione, morte e risurrezione di N. S. Gesù Cristo. Sin da bambino come chierichetto e poi via via fino al sacerdozio Juan de la Cruz si è sempre più uniformato il suo modello. “Della sua prima Messa siamo ben informati”[17]ci ricorda la Stein. Celebrata nel Convento di S. Anna a Medina del Campo nel 1567 “forse durante l’Ottava della natività di Maria”[18] va ricordata per la particolare grazia accordata dal Signore a S. Giovanni durante la consacrazione; di non commettere, cioè, mai peccato mortale. Ma c’è una particolarità che caratterizza questa grazia: soffrire lo stesso il dolore che causa il peccato per meglio uniformarsi a Cristo.” Essere puro da ogni peccato eppure sentirne ugualmente il dolore – non è forse trovarsi sullo stesso piano dell’Agnello immolato, che si è addossato o peccati del mondo?”[19]. sappiamo, inoltre, che la sua “actuosa partecipatio” al mistero della Messa era tanto profonda, come ebbe egli stesso a confessare, “di dover rinunciare talvolta per più giorni alla celebrazione della S. Messa, perché la sua natura era troppo debole e non ce la faceva sopportare l’abbondanza delle celesti consolazioni”[20]. La filosofa di Breslavia è convinta della centralità di questa esperienza nella vita del santo carmelitano scalzo a tal punto da affermare “che il suo progresso nella scienza della croce, la sua graduale misteriosa trasformazione nel Crocifisso sono venuti in massima parte mentre officiava all’altare”[21].
Visioni della croce
Il santo di Durvelo si è posto come cera calda di fronte allo stampo. Nessuno come S. Giovanni della Croce è stato così pronto a farsi modella re dalla croce di Cristo. Sicuramente hanno contribuito le visioni mistiche della croce, e la Stein ne ricorda particolarmente due. La prima avuta nel Convento Monastero dell’Incarnazione dove fu chiamato come confessore da S. Teresa D’Avila. Fu una visione tanto intensa da imprimerglisi nella memoria e da permettergli poi di ridisegnarla in un bozzetto famoso e tuttora conservato. Si tratta del famoso crocifisso visto di scorcio dall’alto, tanto famoso da aver ispirato secoli dopo il noto crocifisso del pittore spagnolo Salvator Dalì. La seconda avvenne a Segovia verso la fine della vita, fu argomento di una confidenza fatta dal santo al fratello Francisco. Questa seconda riveste una certa importanza per comprendere la Scientia crucis del santo, in quanto, come riportano i biografi, alla domanda del Cristo di cosa gradisse che Egli facesse per lui, il santo rispose: “Signore, quel che voglio è che Tu mi dia dei patimenti da sopportare per te, e che io sia disprezzato e contato per nulla”. E così avvenne. Alla fine, lui cofondatore del Carmelo teresiano, fu messo da parte dalla seconda generazione dei riformatori carmelitani che facevano capo a P. Doria.
Messaggio della croce e suoi significati
Per messaggi della croce vanno intese “tutte le sofferenze e i dolori della vita”[22]. Senza dilungarsi sulla biografia del santo, cui si rimanda, dall’analisi della Stein emerge che tutte queste esperienze, tutti questi vissuti - per usare un termine caro alla sua filosofia – sono stati orientati dal santo ad una sempre maggiore identificazione con il modello. Ma questo processo di identificazione diventa anche fondativi dell’altro aspetto centrale della figura del santo: quello di formatore di anime, colto dalla Stein come una profonda e intima tensione missionaria volta “a liberare altre anime per Dio e guidarle sulla via dell’unione”, tanto che “tutta la sua attività nell’Ordine si ridusse a questo”[23]indubbiamente centrale è quella esperienza, ampiamente riportata dai biografi, che può essere resa solo con il termine di abbandono e Kenosi consistita nel periodo di prigionia nel Convento dei Carmelitani Calzati che, per spingerlo ad abbandonare la Riforma Teresiana lo privarono quasi per un anno del premesso di celebrare Messa e lo tennero chiuso in una piccola e buia cella finché egli non fuggì e si riparò in un Convento della Riforma. “Dio lo aveva lasciato solo”[24], commenta la Stein; ma, in quella solitudine, che è il momento culminante del processo di identificazione al Cristo e che è l’ultima prova mistica. “Questa è la grande esperienza della croce da lui fatta a Toledo: estremo abbandono e, proprio in mezzo a quest’abbandono, l’unione con il crocifisso”[25]. Da quanto sinora esaminato emerge già quello sarà il taglio interpretativo che l’allieva di Husserl darà all’intero testo: l’identificazione della croce con la notte (simbolo ricorrente nella poetica e nella teologia mistica di S. Giovanni della Croce). Dobbiamo comunque tener presente, come ha ben sottolineato il traduttore italiano P. Edoardo di S. Teresa nel lontano 1982, che l’opera è postuma ed incompleta. Postuma in quanto fu pubblicata dopo la fine del II conflitto mondiale a partire dai manoscritti trovati in un Convento dell’Ordine bombardato nel ‘44[26]. Gli studiosi di S. Giovanni della Croce ne hanno evidenziato la chiarezza e la profondità. Rimane il fatto che tra gli scritti sul cofondatore del Carmelitani Scalzi, questo libro possiede una originalità e autonomia tanto particolari da farne un’opera a parte che nulla a che fare con l’Agiografia. Non è una biografia, come la santa stessa dirà, ma questo scritto ha lo scopo dichiarato di “cogliere Giovanni della croce nell’unità del suo essere tal quale essa si esprime nella sua vita e nelle sue opere, considerando il tutto da un punto di vista che renda possibile afferrare con un sol colpo d’occhio questa unità”[27]. E questa unità viene colta per Edith Stein proprio in questa identificazione di croce e notte. “Croce e notte sono la strada che guida alla luce del cielo: ecco il lieto messaggio della croce”[28]. Ma, è bene ricordarlo, qui quando si parla di cielo si parla di esperienza già da qui della vita eterna. In effetti qui si parla dell’esperienza piena di quella che S. Bernardo di Chiaravalle nei suoi discorsi definisce la “venuta intermedia del Messia”[29]. Il significato di quanto detto è la summa del cristianesimo, che altro non è che “per crucem ad ressurectionem”. “Se vuol essere partecipe della sua vita – sottolinea la filosofia carmelitana -, dovrà passare con lui attraverso la morte di croce, come lui crocifiggendo la propria natura con una vita di mortificazione e di rinuncia, abbandonandosi ad una crocifissione piena di dolore e foriera di morte, come Dio disporrà o permetterà”[30].
Diviene a questo punto necessario chiarire alcuni punti che riguardano quella che tranquillamente si può chiamare la filosofia della persona di Edith Stein. Senza la comprensione di questo punto si rischia di non cogliere appieno l’originalità della analisi fenomenologica utilizzata dalla santa per comprendere appieno l’essenza profonda della mistica juanista. a tale scopo può esserci utile riflettere su alcuni passi di Essere finito Essere eterno. In particolare il paragrafo nono del VII capitolo dal titolo L’immagine della Trinità nella creazione. S. Giovanni della croce è indubbiamente un mistagogo, un maestro che a partire dalla sua conoscenza esperienziale del mistero, dalla sua Scientia crucis conduce le anime alla stessa meta da lui raggiunta. Egli non attinge solamente dalla sua esperienza personale, ma anche da quelle delle anime a lui affidate; certo, il suo intento non era quello di elaborare una sistematica dell’esperienza mistica, ma primariamente quello appunto di “condurre per mano, ossia completare attraverso gli scritti la sua opera di Direttore di anime (…). La fonte da cui scaturiscono è l’esperienza intima”[31]. Ecco perché la Stein ha potuto applicare il metodo fenomenologico allo studio della scienza della croce del santo carmelitano, proprio perché ha inteso l’elaborazione teoretica dell’esperienza acquisita come il processo della coscienza intenzionale del fenomeno mistico stesso, che non è solo una dinamica intellettuale, ma un processo di stretta relazione io – mondo, dove per io si intende husserlianamente l’Io puro e per mondo il suo correlato intenzionale. La relazione inscindibile io – mondo permette alla filosofia di Breslavia di comprendere profondamente la dinamica dell’esperienza mistica, tracciandone la struttura intenzionale. Infatti, quasi alla fine della sua Scientia Crucis Edith Stein afferma che “la dottrina della croce di S. Giovanni non si potrebbe chiamare Scienza della Croce nel senso che intendiamo noi, se si basasse esclusivamente su delle conoscenze di carattere intellettuale”[32]. Perché sia possibile una tal cosa, perché cioè sia possibile elaborare a partire da una esperienza esistenziale una conoscenza scientifica è compito della Fenomenologia steiniana spiegarcene la possibilità. La convergenza determinata dalla proposta della Stein per risolvere il problema del senso dell’essere, senza eliminare la tradizione filosofica antica e medievale, come invece Heidegger faceva, richiedeva un serrato confronto tra gli esiti migliori del pensiero moderno, quelli della fenomenologia husserliana e la filosofia tomista, che meglio di ogni altra risolveva nel quadro della filosofia classica il problema dell’essere. La discepola di Husserl e di S. Tommaso si rende conto che la svolta antropocentrica della filosofia moderna negli sviluppi assunti nella scuola husserliana, può essere compatibile con la risoluzione del problema dell’essere entro il mutato quadro antropocentrico della filosofia moderna. Ovviamente, già dai tempi di Gottinga la Stein riteneva necessaria all’interno della fenomenologia trascendentale – e a ciò spingeva il suo maestro – una svolta di tipo realista che rispettasse il detto originario di Husserl: “Verso le cose stesse”. La filosofia dell’Aquinate le permette di rispettare pienamente questa esigenza e le consente di giungere ad una delle migliori sintesi tra il pensiero geocentrico e quello antropocentrico.
Nella sezione dello scritto steiniano sopra citato la filosofa propone uno schema ascendente che partendo dall’Io giunge all’essere, la via percorsa è quella del vissuto intenzionale inteso come vita della coscienza. Adattando questo schema alla nostra analisi, si può dire che qui il vissuto è l’esperienza mistica, che in quanto apertura a Dio è fondamentalmente relazione, mentre l’atto intenzionale che ne coglie l’essenza rende possibile una conoscenza rigorosa e perciò scientifica del fenomeno (fenomenologicamente inteso) stesso. “La forma più originaria della conoscenza di sé è la consapevolezza che accompagna la vita dell’Io. Qui l’Io è inteso come cosciente di sé e della sua vita. Il fatto che il suo essere (cioè la sua vita) implichi l’essente-per-se-stesso (cioè la sua coscienza), che l’Io abbia un ‘sé’, possa cioè riflettere interiormente sulla sua vita spirituale, dà al sé il significato più originario”[33]. Non va dimenticato che già al tempo della stesura della sua tesi di laurea sull’Empatia Edith Stein, pur senza averne allora gli strumenti, immaginava che l’atto empatico potesse essere l’atto per mezzo del quale tanto l’uomo quanto Dio potessero cogliere l’uno il vissuto dell’altro. È ovvio che ciò va letto all’interno dell’analogia entis, per cui mentre Dio coglie pienamente il vissuto della creatura senza alcuna ombra, la creatura coglie di Dio solo ciò che Dio le manifesta della sua vita attraverso la Grazia. Nelle profondità della vita dell’anima rinata alla grazia si innesta questa dimensione dialogica, la cui struttura empatica viene chiarita dalla analisi intenzionale del mistagogo S. Giovanni della Croce, e che diviene Scientia Crucis appunto.
Si potrebbe azzardare l’ipotesi che proprio l’elaborazione teorica di questa esperienza fatta dal santo carmelitano è in un certo senso una vera e propria – sia pura non esplicitata – descrizione fenomenologica del fenomeno mistico. Da qui la sua dimensione rigorosamente scientifica.
[1] Cf. Franz Joseph Wetz, Husserl, Il Mulino, Bologna, 2003.
[2] Edith Stein, Scientia Crucis Studio su san Giovanni della croce, Postulazione generale dei Carmelitani Scalzi, Roma, 1982, p. 23. D’ora in poi SC.
[3] Edith Stein, SC, pp. 23 - 4.
[4] Lc (1, 34)
[5] SC, p. 25.
[6] Lc 2,19.
[7] SC, p. 25.
[8] Sc, p. 25.
[9] SC, p.25.
[10] Edith Stein, SC, p. 26.
[11] SC, 26.
[12] SC, p. 31.
[13] SC, p. 31.
[14] SC P. 31.
[15] Edith Stein, SC p. 33.
[16] Edith Stein, SC p. 33.
[17] Edith Stein, SC, p. 40.
[18] Edith Stein, SC, p. 40.
[19] Edith Stein, SC, p. 41.
[20] Edith Stein, SC, p. 41.
[21] Edith Stein, SC, p. 41.
[22] Edith Stein, SC, p. 46.
[23] Edith Stein, SC, p. 50.
[24] Edith Stein, SC, p. 50.
[25] Edith Stein, SC, p. 51.
[26] Cfr. P. Edoardo di S. Teresa, Introduzione a Edith Stein, SC, p. 7.
[27] Edith Stein, SC, p. 21.
[28] Edith Stein, SC, p. 51.
[29] S. Bernardo di Chiaravalle, Discorso 5 sull’Avvento, 1- 3 Opera Omnia, Ed. Cistercensum, p. 188 – 190.
[30] Edith Stein, SC, p. 53.
[31] Edith Stein, SC; pp. 57 - 58.
[32] Edith Stein, SC. p..293.
[33] Edith Stein, EfEE, p. 445.