Rasputin - Epitragedia pietroburghese in quattro movimenti -versi-2

Parodo - 1° Movimento

Aleksandr Porfir'evič Borodin,

Il Principe Igor” Overture

 

Coro - Ai laghi Masuri[i]

Nei boschi querciosi senti solo il gracchio incalzare

macabro delle cornacchie, mentre la tempesta già porta,

40       nel grido dei lupi alla luna, l’albe rosse di sangue.

Le nubi piovono; ad occidente lampi di cannoni                       

vomitano morte e flagelli lontani; dei laghi                                           

l’acqua sa di metallo e polvere, il suo colore è

45        come acciaio. Anche qui s’appresta fiera la schiera

di Igor, respira la polvere dei cavalli di polovcy.

Oh Bajan Usignolo dei tempi antichi[ii] se avessi                                               

ora tu, anco di questa nuova schiera, cantato le gesta,                         

stavolta ad Occidente, il tuo canto risuonerebbe

50        da Trojan[iii] fin alle steppe di Vostòk[iv], col tuo cinguettio

si sarebbe narrata la gloria dello Zar Nikolaj

Aleksandrovič. Sebbene il “Pacifico” fu costretto                                  

alla guerra, spinto dai nuovi boiari, dalle circostanze.             

Se ne andò fin alla lontana Bielorussia a Mogilëv[v]

55        a prender il Comando Generale di tutte le truppe,

contro il parere siberiano del Monaco Rasputin.

 

Corifeo - Al Tanneberg[vi]

Nelle lontane lande e terre al fronte occidentale                                              

dell’impero, dove si franse un tempo l’onda teutonica,                        

or’ esonda la marea, dilaga l’impeto germanico.

E viene su, da trincea a trincea, monta il mare

60       dal fondo della terra, monta l’assalto che scuote fragili

le linee di Rus’ e accerchia tutt’i figli del Principe

Igor la torma dei discendenti di Arminio. Sale                                      

da occidente l’orda dei barbari: “Al Tannenberg

prussiano! Forza, coraggio, snidiamoli!”

65        Gridano le staffette, quasi a vendicare l’antica

vittoria slava; frenata è ora l’avanzata russa.

Altro destino verrà da Stalingrado, colpo su colpo,                              

al confine di Rus’ nei secoli a venire. E viene

su, impetuosa da tutti i fronti, la massa

70        informe delle carni dei figli di Adamo, come

le ali di un uccello di fuoco, quasi danza di morte.

 

Coro dei soldati morienti

Siamo noi, tra i russi sul suolo teutonico finiti,                                     

ci chiamiamo fidi, fedeli allo Zar di tutte le Russie,

vedi ora! Volge al tramonto, già salma tra i colpi

75        dei bolscevichi, il rimpatrio dello Zar, dalle schiere

carichi d’oro tra cupi presagi, tra gli ululati

dei lupi germanici e dei loro servi, né staffetta                          

finora né corriere, galoppante come il vento sarmata,

ha toccato la santa capitale Pietrogrado. I militi

80       sfilano dai laghi Masuri, altri dal Tannenberg,

avanti, in sella ai sauri, come cavalieri venuti

dall’apocalisse, e i fanti, colonne di soldati,                                           

infossate nelle trincee, all’assalto, come navi,

a colonne. Il passo è compiuto. Chi si ricorda

85        delle distese di grano a primavera, chi dei puledri        

lanciati nella tundra siberiana, lontani nel vento;

chi l’accostarsi delle onde dai laghi o dai mari                                      

del sud, contadini che impugnano la daga. Ai giovani

la morte; alle giovani spose il lamento del corvo,

90       che porta nel gracchio storpiato l’ultimo sospiro. 

Il passo è compiuto e sembra un trionfo ma la serpe

ha già tramato l’inganno e la Zarina di Rus’                                           

discende ormai nelle sabbie d’un tristo Novecento,

alcolizzato, fumato e alienato, tinto di piani

95        quinquennali e marcia verso il futuro. Chi resiste                                

alla tentazione che questo porge? Chi? È solo un corso

d’uomini in piena, come valanghe che precipitano                               

dai monti innevati, o dai fiumi esondati, terre

sepolte dalla follia di una natura atea e ribelle.

100      Sbarrare con dure barriere, e cosa? Quest’abisso

che bolle e travolge come mare canuto che mugghia,

nella sua stupida ossessione, sempre la stessa nenia?                          

Ah! Vano il tentare d’arginare il demone teutone,

quando ha già inviato la rossa serpe dall’elvetico

105      esilio dorato. Sorride, sardonico e beffardo,

il diavolo del vagheggiato futuro, mentre scivola

in trappola l’uomo. Un giorno sorgerà Dio, un giorno,                        

ancora lontano.  Ma seppero, nel loro cadere,

trasognato, innamorato solo della madrepatria,

110       i fanti russi nell’abisso che ora a te spalanca                  

le fauci come avido demone, come Gezabele,

vogliosa d’una vigna, anch’essa biblica? È folgore                                 

nella notte la fiammata che sale dai cannoni, una

sciabolata d’azzurro, sguardo di smalto riluccicante.

115       freccia di cocchio di un altro sole, nero e ferente                                             

di morte. Spesso è il fronte, compatte falangi, di flotta

di militi ignoti e sfreccia il cocchio, ahimè! della                                  

fine; non la merkabah di Elia, punta addosso

al nemico, ma quale? Così dentro mi sale un velo

120      buio quasi come d’angoscia “Ah! Voi, barbare schiere”.

Intero un popolo marcia, sciamato come le api

dal fiele d’una idea che non sanno; salgono di pianto

le onde nella notte dai campi tagliati dalle trincee.

Intanto, negli agri biondi di grano della lontana Russia,

125       pronti alla mietitura, il Principe Levin carezza

le cime degli steli, sentendo le guance dell’anima,

oh! Kitty, nel palmo riverso della sua mano… quasi

il volare all’alba della civiltà di navi greche

sulle onde del mare, quando i padri veleggiarono

130       a oriente e occidente a dare la matrice

e lo stampo alle civiltà sorelle, figlie dei greci.



[i] Luogo di una delle terribili battaglie sul fronte russo-tedesco durante la I guerra mondiale.

[ii] Riferimento al Poema epico russo Canto della Schiera di Igor’ in cui si narra la sconfitta del duca di Rus’ causata dalla popolazione nomade turcofona dei poltovcij. Si riferisce alla fallita campagna militare dello knjaz (duca)  Igor’ di Novhorod-Sivers'kyj (città facente parte del Principato di Černigov nell'antica Rus' di Kiev) contro i Polovcy (anche conosciuti come Cumani) che vivevano nella parte meridionale della regione del Don nel 1185, Battaglia del fiume Kajaly.

[iii] Metafora attinta dal testo del Canto della schiera di Igor’ che sta ad intendere la distanza Trojan è Troia.

[iv] Vostok (pr. Vastòk) in lingua russa significa est, oriente.

[v][v] Sede del quartier generale russo durante la I guerra mondiale, in Bielorussia

[vi] Altro luogo di una terribile battaglia vinta dai tedeschi nel primo conflitto mondiale.