La Filosofia dell'Apparato
Introduzione alla Filosofia dell’Apparato
Se volessimo definire l’Apparato con i termini della filosofia presocratica potremmo dire che esso è la physis ovvero il tutto al cui esterno non c’è nulla; con linguaggio parmenideo potremmo dire: l’Apparato è l’essere ma, per evitare fraintendimenti con il termine “essere”, preferisco usare il termine “tutto”. E ciò perché il termine essere, da Platone e Aristotele in poi (e soprattutto nella scolastica medievale), è riferito 1) alla totalità degli enti che non si esauriscono nella physis propriamente detta; e 2) tale termine è stato poi giustamente applicato da S. Tommaso a Dio che è l’essere in quanto essere, cui nulla manca. Il resto degli enti ha l’essere per partecipazione sia che sia ente invisibile sia che sia ente visibile; infine 3) perché per essere si intende proprio l’essere personale Unitrino che è Dio.
Metafisica dell’Apparato - Aspetti ontologici
L’Apparato è dunque il “tutto inglobante” che non lascia nulla fuori di esso, è processo perché è l’essenza della modernità che si dispiega come ultramodernità; e l’essenza della modernità è appunto processo e rottura. In genere oggi si preferisce dire “crisi” ma è “rivoluzione”; ed è rivoluzione perché la crisi è strutturale alla rivoluzione, intesa come processo dispiegantesi dell’Apparato.
Con crisi il pensiero neo-giacobino ultramoderno intende la “rivoluzione senza telos” (Cacciari, Krisis; Revault d’Allones, La Crisi senza fine Franzini, Filosofia della Crisi) perché, appiattitasi sull’apparato essa ha rinunciato al suo telos, che pure era deviante, per il telos dell’Apparato stesso, così facendo detiene e mantiene l’egemonia all’interno dell’Apparato ma si è asservita ai fini dell’Apparato. Perdendo la sua spinta rivoluzionaria e per destino dello stesso spirito rivoluzionario essa è divenuta suicidio della rivoluzione e manifestazione piena e compiuta del nichilismo. Suicidio della rivoluzione in quanto (cfr. Del Noce), nichilismo in quanto (cfr. …)
Il nichilismo è il calco della negazione della dipendenza da Dio. Non è un caso che l’ultramodernità si faccia vanto dell’assassinio di Dio, espressa dall’ormai famoso aforisma 125 della gaia scienza di Nietzsche.
1) L’apparato assorbe l’organico e lo trasforma in ibrido che gli appartiene, così facendo si presenta come nuovo organo-macchina
2) L’apparato ha una genetica che inizia con il passaggio dall’organismo alla macchina all’inizio dell’età moderna
3) Quando Leonardo presenta a Ludovico il moro la macchina come gioco presenta, senza saperlo, il destino della modernità: l’assorbimento dell’0rganico nella macchina.
4) La macchina nella modernità da strumento diventa soggetto inglobante; da techne diventa tecnologia: essenza dispiegata della ultramodernità
5) La modernità perciò è il cammino del dispiegamento dell’Apparato che ingloba in sé il vivente.
6) 1) fase è la nascita dello stato moderno come macchina: è perciò l’Aurora dell’Apparato
7) 2) la rivoluzione industriale, va intesa come un unico processo che per comodità viene diviso in 1,2,3,4, etc.
8) Rivoluzione come rivolta e rivoltamento, frattura del patto generazionale
9) Antico come vecchio e nuovo come ultimissimo integrato
10) La rivoluzione, come essenza dispiegantesi dell’Apparato, rappresenta appunto l’essenza della trasformazione inglobante del vivente da parte della macchina che da oggetto si fa soggetto determinante e processante e, teologicamente, si presenta come ribellione dell’uomo nei confronti della sua ontologica dipendenza da Dio. Da qui discende l’interpretazione della libertà come negazione di tale dipendenza e processo di emancipazione da Dio.
11) Sostituzione del regno dell’uomo al regno di Dio.
12) Ri-divinizzazione della physis come conseguenza ultima e promessa dell’Apparato di una escatologia integrata e dentro la storia.
13) Pacificazione irenica e fine dei conflitti, “Pace perpetua” sono garantiti dall’Apparato come telos della storia stessa.
14) Come tutto inglobante l’Apparato non tollera opposizione o alterità, esso è dunque totalitario. E non potrebbe essere diversamente, visto che il lager è il suo modello ideale.
15) Alla beatitudo si sostituisce la ricerca della felicità terrena, il benessere al bene, alla salvezza la salute.
La nostra attenzione si concentra pertanto sull’Apparato così inteso.
Genetica dell’Apparato e suo telos: l’iper-realtà
Una nota sulla follia
La condizione di follia che caratterizza il nostro tempo consiste nella creazione di uno spazio sociale “virtuale”, virtuale nel senso di non reale, di negazione della realtà, in cui l’uomo di oggi vien fatto vivere. Intendo dire che, attraverso i media, il sistema legislativo, la scuola, la cultura, si è costituita una realtà artificiale in cui l’uomo moderno è costretto a vivere, dove libertà e oppressione si sono invertite di ruolo. Con si intende che la libertà che vengono spacciate come diritti servono, in realtà, a creare nuova schiavitù morale. Mentre, infatti, il dovere è il rispetto della realtà, nella sua più profonda essenza, in quanto il dovere è ciò che io devo agli altri, ovvero mi pone in una relazione con gli altri di servizio. Da un punto di vista psicologico, la pazzia consiste proprio nella incapacità di distinguere il sogno, l’allucinazione dalla realtà, ed è proprio questo ciò che stiamo vivendo: la confusione tra finzione e menzogna da una parte, e la realtà dall’altra. Menzogna che è finzione, voluta e costruita, ultimo effetto della “Volontà di potenza”. Ecco perché, in un modo inaspettato, il frammento eracliteo sul Logos è emblematico perché descrive proprio questa condizione di slittamento tra sonno e veglia.
“Di questo Logos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadano secondo lo stesso Logos, essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole ed in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com’è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo”.
Questo frammento esprime esattamente la condizione del nostro tempo e la condizione di follia di questo tempo consiste proprio in questo: nel confondere il sonno con la veglia. Sonno significa, sogno; sogno significa narrazione; narrazione significa Mito. E che cos’è il mito? Un tentativo di comprensione della realtà che prescinde dal Logos. Solo che in quest’epoca post- Logica il terreno del mito non attinge più al divino e alla Trascendenza (vedi Nietzsche), ma alla scienza che, a sua volta, non si fonda più sulla verità ma sulla volontà di potenza.
In questo senso Eraclito è chiaro: “Tutto accade secondo questo Logos”, ma essi, i dormienti, non comprendono. Questo è l’esito ultimo della rivoluzione copernicana operata da Kant in filosofia: il ritorno del mito, di un mito-scienza al servizio dell’incremento della Potenza e della negazione della libertà. Il Mito, infatti, finzione, racconto, non episteme, scienza e conoscenza dell’essenza delle cose. Il mito qui non è nemmeno il mito platonico che, in realtà nel tentativo di tornare ai pre-socratici si è giunti alla pre-filsosofia, come sarebbe giusto chiamarla, piuttosto che post-filosofia. In realtà, questa funzione mitica di racconto non vero, ma ideologicamente pregno, è sviolto dalla scienza, quella con al “S” maiuscola.
Attraverso questo strumento primo della “Wille zur macht” la tecno-scienza crea il mondo falso in cui ci troviamo. Ma la scienza, proprio in quanto tecno-scienza, è al servizio dell’incremento della potenza, della volontà di potenza, che spaccia per libertà la schiavitù del singolo.
Sonno al posto della veglia dando la convinzione, a chi è nella condizione di dormiente, di essere nella veglia. La tecno-scienza al servizio indiscriminato della potenza, che determina a suo piacimento l’essere dell’ente in funzione dell’incremento incondizionato della potenza, fa dell’uomo stesso un elemento dell’incremento indiscriminato della potenza.
Antropologia dell’uomo dell’Apparato ovvero: Tipi Ultramoderni
Mito della caverna, Platone
I tipi esistenziali qui descritti sono atteggiamenti esistenziali, opinioni intenzionali permanenti, come le chiamava Husserl, assunti da chi è parte dell’Apparato, anzi, ne è parte integrante, non sa né vuole o né può uscirne. Sono dei paradossali meccanismi di difesa ancestrale, in genere deresponsabilizzanti, soporiferi dal punto di vista etico, che servono a giustificare il proprio operato all’interno dell’Apparato. Qui se ne fa una descrizione fenomenologica, cogliendo l’essenza del fenomeno stesso, così come si dà. L’uomo dell’apparato è un Giano bifronte: Schiavo felice e spia spietata, Kapò e gaio viandante senza meta, demente ma mediamente istruito; sempre più dipendente dall’intelligenza artificiale e dalla macchina. Atteggiamento pubblico dell’uomo dell’Apparato e il sorrisetto denigratorio davanti alla telecamera o al pubblico quando il parlato di chi gli parla non rientra nella grammatica dell’Apparato e mette in crisi i fondamenti del paradigma ideologico di riferimento dell’uomo dell’Apparato.
Potremmo definire Sindrome di Eichmann, dal nome di quel gerarca nazista processato a Gerusalemme nel II dopoguerra, quell’atteggiamento di chi, facendo parte dell’apparato, si sente deresponsabilizzato sol perché esegue perfettamente i protocolli della professione che svolge o della funzione sociale che riveste. A tale atteggiamento esistenziale corrisponde il cosiddetto “pensiero computazionale” che tutto si pone tranne la questione dei fini delle azioni che di compiono e quindi sospende il momento morale dell’agire.
Si definisce, invece, Sindrome di Bucharin, dal nome del famoso rivoluzionario comunista, processato da Stalin per tradimento, l’atteggiamento di chi, pur di difendere il paradigma di riferimento, l’ideologia di cui fa parte, il meta sistema ideologico, è disposto ad assumersi la colpa della sua condizione di devianza rispetto al paradigma di riferimento, scagionando così il modello ideologico del quale si sente sempre parte; in tal modo egli salva l’ideologia stessa, ne sublima la verità metafisica: questo è il suo ultimo atto di fedeltà all’ideologia, il suo atto estremo riabilitativo che dà senso a tuta la sua esistenza.
Si definisce invece sindrome del Signor Goljadkin, dal nome del protagonista del romanzo di Dostoevskij Il Sosia, l’atteggiamento esistenziale estremo dello sdoppiamento della personalità, lo si trova anche in altri personaggio dostoevskijani, come per esempio nell’ultimo Ivan Karamazov.