Nikolaj S. Trubeckoij – L’Europa e l’umanità
Il dibattito intorno alla unicità/diversità o superiorità/alterità della civilizzazione e della cultura europea (includendo in essa anche gli States e tuta l’Anglosfera), rispetto a tutte le altre civiltà mondiali, attraversa tutta la modernità occidentale. È un dibattito, attraversato ahinoi, da un sottile senso di superiorità rispetto al resto del mondo; questo senso di superiorità supposta è stato spesso determinato dal pensarsi portatori di un destino o, se si vuole, di una vocazione all’essere la guida dell’umanità nell’opera di civilizzazione. Questo fenomeno si è manifestato in maniera sempre più chiara nella autocoscienza degli occidentali, a partire dall’epoca delle scoperte geografiche nel XV secolo. Questa concezione della centralità romano/germanica, evidenziata da Trubeckoij è stata poi fatta propria dalla cultura liberal anglosassone che, hegelianamente, si è sentita investita di quest’opera di civilizzazione. Almeno, questo ha creduto e continua a credere, ingenuamente, verrebbe voglia di dire, l’Occidente intero.
Il testo di Nikolaj Trubeckoij (1862 – 1905), filosofo russo e semiologo strutturalista, che insieme a Roman Jakobson è il padre della morfologia linguistica, e il cui testo qui presentiamo, mette in discussione questo pre-giudizio tutto europeo ed anglosassone, mostrandone interamente la falsità. Un testo attualissimo, dunque. Attualissimo perché mai come adesso l’Occidente e l’Europa si sentono investiti della missione di “esportare di democrazia e civiltà” ovunque nel mondo, di essere depositari di valori unici e perciò di dover insegnare al mondo intero come si vive e cosa sia essere uomo. Questo nostro primo mondo, detto anche il “miliardo d’oro”, crede, erroneamente, ci dimostra Trubeckoij, di essere l’unica civiltà erede dei greci e di essere perciò investita di una missione epocale. E tutto ciò lo fa dall’alto della sua autoesaltazione, la quale non tiene conto né delle diversità né delle specificità delle altre civiltà mondiali, della loro originalità e dei loro percorsi tipici.
Un breve sguardo ai primi capitoli del libro di Trubeckoij ci permette di comprendere quanto alla pretesa Occidentale sia solo una pretesa. Diamo dunque un’occhiata al testo.
Pur essendo numerose le possibili posizioni che un europeo può assumere riguardo alla questione nazionale poi sostanzialmente si riducono a due, ci dice Trubeckoj. E sono: «lo sciovinismo da un alto e il cosmopolitismo dall’altro. Ogni nazionalismo è quasi una sintesi degli elementi dello sciovinismo e del cosmopolitismo, il tentativo di conciliare questi due opposti»[1]. A ben guardare, sostiene il pensatore moscovita, le due posizioni estreme sono molto più simili tra loro di quanto non sembri a prima vista, al punto che «non altro che due gradi, due diversi aspetti di uno stesso fenomeno»[2].
Lo “sciovinista”, infatti, parte dalla pre-comprensione secondo la quale il «popolo migliore del mondo è appunto il suo»[3], la cultura da lui creata, più perfetta e più evoluta delle altre. Sono il suo popolo ha quindi il diritto di primeggiare e dominare le altre culture e civiltà. Ma nemmeno il “cosmopolita” è esente da cattivi pregiudizi. Questi «nega le differenze di nazionalità» e, se esistono, queste differenze devono essere abolite, tanto che «l’umanità civilizzata – per il cosmopolita – deve essere unita ed avere una cultura unitaria». Ma ecco l’errore del cosmopolita; per questi «i popoli non civilizzati devono accettare questa cultura, inserirsi in essa e, entrando nella famiglia dei popoli civilizzati, percorrere con essi un unico cammino del progresso mondiale»[4].
Formulati così i due fenomeni estremi sembrano l’uno l’opposto dell’altro. Nello sciovinismo il dominio è postulato, infatti, per la cultura di una sola etnia, per il secondo la cultura dell’umanità al di là di ogni distinzione etnografica. Ma se andiamo a guardare più a fondo, ci fa notare il Trubeckoj quando i cosmopoliti parlano di civiltà, intendono sempre la civiltà romano-germanica così come si è andata sviluppando nel corso della storia. «Per civiltà essi intendono la cultura che i popoli romanzi e germanici d’Europa hanno elaborato in un travaglio comune»[5]. Insomma, i cari cosmopoliti sono l’altra faccia dello sciovinismo e non lo sanno. E ciò perché quando parlano di cultura, cultura che deve dominare il mondo perché definita universale, essi intendono sempre la cultura di una determinata unità etnografico-antropologica – ci dice Trubeckoij – e qui va da sé che non c’è nessuna differenza con lo sciovinismo. Ma questa unità europea dei singoli popoli europei è essa stessa relativa, perché ogni popolo europeo è un un’unione di gruppi etnici più piccoli, legati tra loro da vincoli di parentela e da una storia comune. Se lo sciovinista proclama il proprio popolo coronamento del creato e unico portatore di possibili perfezioni, al punto da volere che gli altri popoli si fondino e si sciolgano nel suo, perdendo la propria fisionomia nazionale; il cosmopolita europea non è da meno. Questi ritiene che una certa civiltà sia universale. «Come lo sciovinista mette da parte le particolari caratteristiche di singoli gruppi etnici che fanno parte del suo popolo, così il cosmopolita non considera le peculiarità dei singoli popoli romano – germanici e prende solo ciò che rientra nel loro comune bagaglio culturale»[6].
Insomma, sono entrambi figli dell’illuminismo e dell’individualismo umanistico occidentale, al punto che entrambi riconoscono gli altri che o si assimilano o si rifanno a quei valori comuni di cui sopra. «Quindi il parallelismo tra sciovinisti e cosmopoliti è totale»[7]. In sostanza, ci fa notare il pensatore russo, si tratta di uno stesso rapporto con la cultura dell’unità etnografico-antropologica a cui il dato individuo appartiene [8]. «La differenza sta unicamente nel fatto che lo sciovinista, rispetto al cosmopolita, prende un gruppo etnico più ristretto; ma lo sciovinista prende un gruppo non del tutto omogeneo, mentre il cosmopolita da parte sua prende un gruppo etnico determinato»[9]. La differenza è di grado non di principio. Trubeckoij ci mette in guardia da una facile ma terribile semplificazione e qual è questa semplificazione? Nel valutare il cosmopolitismo europeo bisogna sempre ricordare – ci rammenta il pensatore russo – che le parole “umanità”, “civiltà universale”, sono termini precisi dietro i quali si nascondono dei significati etnografici ben precisi, ovvero la cultura europea non è la cultura dell’umanità.[10] Questa è invece il risultato del cammino comune di alcuni popoli, anzi di un determinato gruppo etnico: quello romanzo – germanico, frutto della fusione tra varie etnie indoeuropee: celti, romani, popoli germanici, in parte greci.
La posizione di Trubeckoij è chiara e netta: il cosmopolitismo è sciovinismo romanogermanico, mentre la base psicologica del cosmopolitismo è identica a quella dello sciovinismo, potremmo dire che il cosmopolitismo è uno sciovinismo mascherato. «Si tratta di una varietà di quel pregiudizio inconscio e di quella psicologia particolare che è meglio chiamare egocentrismo. Un uomo con questa psicologia si pensa come il centro dell’universo, il culmine del creato, il migliore, il più perfetto di tutti gli esseri viventi»[11]. Insomma, alla base del cosmopolitismo romanogermanico – dice Trubeckoij – c’è il più becero egocentrismo. «Il cosmopolitismo, questa vetta della civiltà romanogermanica, poggia su fondamenta che sono in radicale contraddizione con tutte le principali parole di questa civiltà. La base del cosmopolitismo, di questa universale ragione umana, è un principio anticulturale: l’egocentrismo»[12]. Ma l’egocentrismo rende impossibile a convivenza tra i popoli. L’egocentrismo va condannato come fenomeno culturale. E non solo tra i romanogermanici ma tra tutti i popoli. Inoltre, dobbiamo rammentare che il vero vizio della civiltà Occidentale consiste in questo: «Il riconoscimento della cultura romanogermanica come la più perfetta di tutte le culture mai esistite sulla terra, si basa sula psicologia egocentrica» e ciò possiamo ritenerlo oramai assodato; ma a ciò va aggiunto che «in Europa all’idea della suprema perfezione della civiltà europea si crede di aver dato un fondamento scientifico, ma la scientificità di questo fondamento è soltanto apparente»[13] . E perché? Per il semplice fatto che questa analisi si basa sull’egocentrismo; le categorie usate come metro sono tutte europee e si reggono sul cattivo pregiudizio illuminista, ben rappresentato dalla hegeliana “storia del mondo come storia dello Spirito oggettivo” ovvero dello spirito europeo. Secondo questo schema la posizione di ogni singola civiltà va misurata in funzione del fine: la cultura romanogermanica, i suoi valori etc. delle quali le altre civiltà non sono che stadi pregressi, tappe dello sviluppo dello spirito che si dispiega nel tempo. Fatto sta che, con sommo dispiacere di Hegel e dei suoi epigoni, «a nessuno è venuto in mente che il considerare la cultura romanogermanica come coronamento dell’evoluzione è una pura convenzione e si tratta di una mostruosa petitio principii»[14]. Le parole di Trubeckoij sono difficili da mandar giù riconosciamolo, va però senza ombra di dubbio riconosciuto col Nostro che «i romanogermanici si credono “coronamento del creato” non perché una scienza oggettiva abbia stabilito la suddetta scala – dalla quale risulterebbe appunto questa superiorità – ma, al contrario, gli studiosi europei pongono in cima a questa scala i romanogermanici esclusivamente perché a priori sono convinti della propria perfezione»[15].
Il libro si presenta come una vera avventura intellettuale o, se si preferisce, quasi un romanzo di formazione. Un testo da leggere assolutamente.
Massimiliano Mirto
[1] Nikolaj S. Trubeckoij – L’Europa e l’umanità, ASPIS, 2021, p. 5.
[2] Ibidem p. 5.
[3] Ibidem p. 6.
[4] Ibidem p.6.
[5] Ibidem pp. 6-7.
[6] Ibidem p. 8.
[7] Ibidem p. 9.
[8] Cfr. Trubeckoij, p. 9.
[9] Ibidem p. 9.
[10] Cfr. Trubeckoij, p. 10.
[11] Ibidem p. 11.
[12] Ibidem p. 15.
[13] Ibidem p. 23.
[14] Ibidem p. 27.
[15] Ibidem p. 29